Il Ponte sullo Stretto di Messina, collegamento stradale e ferroviario tra Calabria e Sicilia, non è la più grande (opera) incompiuta del Paese, perché semplicemente «non è». Un progetto realmente cantierabile non è mai esistito e anche se ne parliamo da cinquant’anni non sono le parole a poter risolvere la questione. Dopo anni in apnea, però, a inizio maggio la litania «Ponte sì, Ponte no» è ripartita, con la pubblicazione sul sito del ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili della relazione prodotta dal gruppo di lavoro istituito nel 2020 all’interno della Struttura Tecnica di Missione per l’indirizzo strategico, lo sviluppo delle infrastrutture e l’alta sorveglianza. Il documento si chiama La valutazione di soluzioni alternative per il sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina ma c’è un’alternativa che resta fuori dai radar: non valuta l’opzione zero, ovvero di non realizzare l’opera per andare a rafforzare quello che viene definito «attraversamento dinamico», cioè i traghetti.

GLI ESPERTI RITENGONO «che sussistano profonde motivazioni per realizzare un sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina, anche in presenza del previsto potenziamento/riqualificazione dei collegamenti marittimi (attraversamento dinamico), pur necessario in relazione ai tempi per la realizzazione di un collegamento stabile», e sostengono che sia «più efficiente finanziare il sistema di attraversamento interamente e trasparente a carico della finanza pubblica», questo anche in base a presunti «benefici diffusi che l’opera ha sull’intero Paese».

PAGINE DI ANALISI COMPARANO L’AREA intorno a Messina e Reggio Calabria con l’area metropolitana milanese, provando a spiegare che la differenza nel prodotto interno lordo è legato alla mancanza del Ponte, all’insularità della Sicilia. Si arriva anche ad affermare che l’opzione più auspicabile sarebbe quella di un ponte realizzato a più campate, di cui si sente parlare per la prima volta: un Ponte sullo Stretto con due o tre luci, di cui non esiste nemmeno un abbozzo di progetto, uno straccio di studio di fattibilità. Atteggiamento quanto meno superficiale, approssimativo.

LA RELAZIONE E’ CONSIDERATA «IRRICEVIBILE» da un gruppo di organizzazione ambientaliste, che hanno redatto un documento di osservazioni – La corretta valutazione delle alternative all’attraversamento stabile dello Stretto di Messina – che l’ExtraTerrestre ha potuto leggere in anteprima. Alla redazione del documento hanno partecipato Beatrice Barillaro (geologa), Anna Donati (responsabile Mobilità Kyoto Club e già presidente Commissione Lavori Pubblici del Senato), Antonio Di Natale (biologo marino e esperto Onu sulla valutazione dello stato dell’Oceano), Anna Giordano (naturalista e ornitologa Wwf), Maria Rosa Vittadini (professoressa emerita Iuav, già Dgvia Ministero dell’Ambiente e presidente della Commissione Tecnica Via e Vas), Edoardo Zanchini (vicepresidente nazionale Legambiente) e Stefano Lenzi (responsabile Ufficio relazioni istituzionali Wwf Italia) che intervistiamo qui a fianco.

QUESTO ELENCO NON E’ SUPERFLUO, perché attiene invece a uno dei limiti più evidenti legati al gruppo di lavoro ministeriale: tra gli esperti incaricati, infatti, emerge l’assenza di componenti che abbiano maturato competenza nelle materie biologiche terrestri e marine, chimico-fisiche, ecologiche, naturalistiche e paesaggistiche. Ciò, evidenziano le associazioni ambientalisti nelle loro Osservazioni, appare quanto meno paradossale «per un progetto localizzato in un contesto eccezionale di elevata sensibilità ambientale e di grande pregio naturalistico e paesaggistico». Prevalgono, nel gruppo di lavoro, esperti di questioni trasportistiche e per questo non è strano che il documento – secondo coloro che lo ritengono irricevibile – «presenti un inquadramento urbanistico e dei valori ambientali, naturalistici, paesaggistici, geologici e sismici assolutamente superficiale, lacunoso e, quindi, non credibile e illustri diverse localizzazioni delle opere da realizzare individuate approssimativamente, che non consentono, quindi, di valutare le ricadute sulle varie componenti ambientali».

IL PUNTO E’ CHE DOPO OTTO ANNI SI E’ ALZATO il velo di polvere che stava finalmente coprendo la leggenda del Ponte sullo Stretto senza avere un’idea chiara non solo del contesto territoriale ma anche dei profondi cambiamenti che l’Italia e l’Europa stanno affrontando ad esempio per la decarbonizzazione del sistema dei trasporti. Non si spiegherebbe altrimenti, ad esempio, come mai il documento arrivi a suggerire che il Ponte sullo Stretto possa rappresentare un’alternativa valida a caricare i camion sulle navi nei flussi di merci tra la Sicilia e la Penisola: nel 2019 dall’isola sono stati trasportati 624.246 mezzi pesanti, in prevalenza verso la Campania (276.290) e la Liguria (173.682). Secondo il gruppo di lavoro, «un collegamento stabile attraverso lo Stretto potrebbe servire, almeno in parte, questo segmento di traffico». Un’idea anacronistica, nel 2021. Poi ci sono aspetti che vengono ignorati.

COME LE «CRITICITA’ GEOLOGICHE E TETTONICHE», dal titolo di un paper del 2020 della dottoressa Alina Polonia, dell’Istituto di scienze marine del Cnr: «Lo Stretto di Messina è un’area cruciale, nella quale avviene l’interazione tra profonde strutture tettoniche ed estesi blocchi crostali che convergono, divergono, e si muovono lateralmente tra loro, provocando terremoti, frane sottomarine, tsunami e vulcanesimo…Una delle aree a maggior rischio geologico del nostro Paese». Non dimentichiamo che si tratta dell’epicentro del terremoto di Messina del 1908: l’evento ha provocato 100 mila morti.

CI SONO POI I PROBLEMI LEGATI ALL’AVIFAUNA, dato che lo Stretto è uno snodo nevralgico per le rotte migratorie, che avvengono lungo «percorsi geneticamente acquisiti, immodificabili» che sono soggette «solo ed esclusivamente alle condizioni meteorologiche tutte», come spiegano le Osservazioni. Lo Stretto di Messina è una delle rotte migratorie primaverili più importanti del mondo per centinaia di specie protette. È noto, e infatti uno dei maggiori problemi è il bracconaggio: gli ambientaliste dagli anni 80 si sono attivati per contenere il fenomeno di caccia illegale che si svolgeva alla luce del sole, con danni incalcolabili all’avifauna.

C’E’, INFINE, LA PARTE ACQUEA DELLO STRETTO, che rappresenta un unicum nel Mediterraneo. «È studiata da secoli e non basterebbero volumi per descriverne le tante peculiari caratteristiche, da quelle prettamente oceanografiche a quelle delle biocenosi dei fondali alla intensa vita nella colonna d’acqua, che è anche una delle più importanti rotte per il passaggio di tantissime specie. Il famoso scienziato Anton Dohrn, che cercava il posto dove creare la prima Stazione di Biologia Marina del Mediterraneo nella seconda metà del XIX secolo, venne subito a Messina ma, per la mancata risposta del sindaco dell’epoca, poi ripiegò su Napoli. Già questa antica scelta dice quale sia l’importanza per la scienza dello Stretto di Messina. Eppure, le correnti e le maree, sono esaminate nella Relazione del Gruppo di Lavoro in 30 mezze righe con una sintesi molto più che estrema». Altrettanto lacunosa anche l’analisi dell’impatto sulle aree protette, che verrebbero quasi «declassificate» dagli esperti, che individuano un’unica area di pregio, la Laguna di Capo Peloro.

TUTTO QUESTO MANCA, MA C’E’ SPAZIO per analizzare l’ipotesi surreale di costruire un collegamento realizzando un tunnel subalveo, che dovrebbe attraversare lo Stretto con una galleria realizzata a 180 metri sotto il livello del mare. «Per raggiungere una tale profondità, rispettando le normative sulle pendenze massime, occorrerebbero delle gallerie di raccordo molto lunghe per un totale di oltre 36 km per la galleria ferroviaria che diventerebbe di oltre 45 km senza interruzioni, e di circa 21 km per quella stradale (sarebbe la seconda più lunga del mondo dopo quella di Laerdalin Norvegia)». Fantascienza. Senza dimenticare che nell’unico progetto definitivo valutabile – il ponte ad unica campata – il mantenimento dell’attraversamento dinamico era imposto dalla impraticabilità del ponte per circa 100 giorni all’anno dovuta ai forti venti e alle oscillazioni. Meglio continuare ad imbarcarsi, senza buttare una decina di miliardi di euro.