Nel titolo della mostra c’è un punto esclamativo. Dopo la parola Cinema. Afferma, ribadisce, che dentro un territorio fatto di acqua dolce e terre eternamente precarie hanno preso forma capolavori assoluti del grande schermo. L’enfasi della punteggiatura assume ulteriori valenze pensando che in mezzo ad acqua dolce e terra ha messo le sue radici, settantacinque anni fa, il Neorealismo, con Ossessione di Luchino Visconti; che in mezzo ad acqua dolce e terra hanno recitato dive e divi di eterna celebrità; che da acqua dolce e terra, sceneggiatori, registi, direttori della fotografia hanno attinto frammenti di storie per metterli in bilico sul doppio filo della verità e dell’invenzione, trasporli, adattarli, farne materia di documentario. Acqua dolce e terra si chiamano Polesine, lingua solida e liquida fra il basso corso dell’Adige e del Po, che arriva a leccare l’Adriatico; milleottocento chilometri quadrati, Rovigo capoluogo di infiniti paesi e frazioni; Veneto a stretto contatto con il Ferrarese. Da L’Argine di Corrado D’Errico (1938) a Made in Italy di Luciano Ligabue (2018) l’elenco somma più di cinquecento pellicole girate sulle rive del Grande Fiume, sulla piazza di Crespino dedicata al mitologico Fetonte, lungo il canal Naviglio di Loreo, a Porto Tolle, Occhiobello, Contarina… È questo il percorso per immagini fotografiche, documenti, sceneggiature, manifesti, locandine, video di interviste, spezzoni di film, che attraversa Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi, fino al primo luglio negli spazi del rodigino Palazzo Roverella. La scelta di affidarne la cura ad Alberto Barbera, direttore della Mostra internazionale cinematografica di Venezia, è connotata da un dettaglio che aggiunge valore alla narrazione espositiva: Barbera, in Polesine, non ci aveva mai messo piede «Ho accettato l’incarico avendo del Polesine un’idea soltanto virtuale, legata ad alcuni film. Ero incuriosito, e al medesimo tempo abbastanza impreparato. Non mi aspettavo di incontrare un numero così elevato di autori e soprattutto di titoli, dedicati a un territorio tanto minuscolo e marginale. Per prima cosa, allora, ho passato tre giorni girando il Polesine in lungo e in largo; ho conosciuto collezionisti, appassionati, studiosi, ricercatori, che hanno dato un contributo importante alla costruzione della mostra». Lo sguardo ‘straniero’, acuito dalla sorpresa, reso più attento dall’esplorare un mondo ignoto, è riuscito bene a cogliere e a restituire al pubblico la splendida avventura artistica iniziata da Michelangelo Antonioni nel 1943 con il documentario Gente del Po. Antonioni tornerà sul Delta per realizzare Il grido, 1957, Deserto rosso, 1964, e Al di là delle nuvole, 1995. Lo spazio dedicato al Maestro evidenzia subito la ricchezza del patrimonio fotografico selezionato da Barbera e dai suoi collaboratori: bianconero dei set di ripresa, di paesaggi, di troupe avvolte nella foschia quasi perenne, di attori sorpresi in un momento di pausa o a colloquio con il regista, di comparse scelte tra la gente del posto, di ritratti da star posati in studio. Al bianconero si contrappongono i colori ‘urlati’ dei manifesti (tutti originali), illustrazioni e scritte nate dalle matite di specialisti del settore quali Sandro Simeoni, Averardo Ciriello, Roberto Mancinelli, Renato Casaro. Il Polesine in trentacinque millimetri è quello di Luchino Visconti, che lo scelse per trasportarvi dalla provincia americana, in Ossessione, Il postino suona sempre due volte, romanzo di James M. Cain; di Roberto Rossellini che ambientò a Porto Tolle il sesto episodio di Paisà, guerra partigiana in mezzo alle paludi, cronaca di atroci rappresaglie nazifasciste; del Mulino del Po di Alberto Lattuada, 1948, e di Sandro Bolchi, cinque puntate televisive, 1963; di Mario Soldati che per La donna del fiume, 1955, volle Sophia Loren nel ruolo di Nives, lavorante alla marinatura delle anguille, e lanciò Caterino Bertaglia, nato a Corbola, Rovigo, in arte Rik Battaglia, nei panni di Gino, amante di Nives; di Carlo Mazzacurati, da Notte italiana, 1948, a La sedia della felicità, 2014, passando per Il toro, L’estate di Davide, La giusta distanza; di Pupi Avati, in qualche maniera prigioniero della fama raggiunta grazie a La casa dalle finestre che ridono, horror padano del 1976; di Giuliano Montaldo con L’Agnese va a morire e Gli occhiali d’oro. Altri titoli, altri nomi, alcuni ingiustamente ignorati o dimenticati, escono alla luce: Scano Boa, ispirato a un fatto di cronaca e tradotto da Renato Dall’Ara in un cortometraggio del 1960 e in un lungometraggio l’anno successivo; La visita, di Antonio Pietrangeli, protagonisti Mario Adorf e Didi Perego; La vacanza, a firma di un Tinto Brass ancora lontano dai copioni piccanti; La vela incantata, di Gianfranco Mingozzi, complice un bravissimo Massimo Ranieri E poi Florestano Vancini, Ermanno Olmi, Luigi Comencini, Giuseppe Bertolucci, Daniele Luchetti, Marco Tullio Giordana, Renato De Maria… Il percorso chiede agli occhi e alla mente del visitatore pause, stacchi, dissolvenze, primi piani, campi lunghi, silenzi. Necessari a comprendere fino in fondo perché l’acqua e la terra chiamate Polesine siano diventate con il cinema una cosa sola. Perché lì, in un luogo provvisorio e immutabile al medesimo tempo, sia cominciato un dialogo che altrove non sarebbe stato capace di esprimere tutta la sua forza, tutta la sua profonda umanità.

Tutta colpa delle riviste patinate e dei dépliant turistici. Tutta colpa loro se espressioni come ‘Qui il tempo si è fermato’, ‘una manciata di case’, ‘paesi sperduti nel nulla’ sono finite nel gran paniere della retorica. Tornano in mente viaggiando in Polesine. Ma per una volta non bisogna scacciarle, suonano bene, suonano opportune. La Strada Provinciale da Rovigo verso Loreo marca una sorta di confine, segna una precisa differenza. A sinistra i campi coltivati, i piccoli e piccolissimi agglomerati urbani, qualche capannone. A destra il Po, che appare e scompare dietro gli alberi, lascia traccia di sé nella pozza di una radura, si apre improvvisamente alla vista quando la vegetazione dirada. Il Po non fa rumore, e viene da pensare che, se non lo senti, sia colpa del traffico motorizzato. Continuerà a restare muto una volta abbandonato l’asfalto per i sassi dei sentieri, l’erba degli argini, il legno degli approdi. Il Po scorre sempre in agguato, basta guardarlo portar via in un attimo i relitti dei rami; basta immaginare l’acqua che monta, gonfia, straripa e cancella per sempre, è successo tante volte, le terre, le case, le vite. Il Po è padrone assoluto di un mondo mai definitivo, luogo non luogo, dove il tempo, non c’è retorica nel dirlo, si è fermato a partire da un giorno ormai difficile da ricordare. Il Polesine è tutto e nulla. Polesella, Adria, Porto Viro, Porto Tolle, Loreo non hanno monumenti da esibire, un centro storico, negozi per turisti, strade dello struscio. Chi racconta di sacche, casoni, ponti, scanni, usa sovente l’imperfetto: ‘Qui c’era’, ‘Qui si facevano’, ‘Qui abitavano’, declinato pensando alle alluvioni bibliche del 1951 e del 1966. Vale altrettanto, l’imperfetto, per le rovine degli impianti estrattivi del metano, degli zuccherifici, delle fornaci; per la centrale termoelettrica di Porto Tolle, cattedrale dell’industria sconsacrata nel 2010, al posto del campanile una ciminiera alta duecentocinquanta metri. Sono archeologia industriale le idrovore. Qualcuna è stata recuperata, a Molara trasformandola in un ristorante con alloggio, ma soprattutto a Ca’Vendramin. L’idrovora fu costruita a fine ’800 per la bonifica dell’Isola di Ariano e dismessa negli anni ’70 del secolo scorso. Con il restauro dei fabbricati, una ventina di anni dopo, lo splendido complesso è divenuto sede del Museo Regionale della Bonifica. Ca’ Vendramin compare in Notte italiana di Carlo Mazzacurati. Tracciare e seguire un itinerario del cinema nel Delta del Po può essere idea suggestiva, che necessita però di qualche precisazione. Quasi ovunque bisognerà chiedere alla fantasia di immaginare un approdo, un argine, una striscia di terra, dissolti dalle piene. Quasi ovunque occorrerà non lasciarsi deludere dalla modestia gentile di un paese, unica sua nota di rilievo. Quasi ovunque saranno le scene, i volti, la trama di un film a ricostruire, a restituire, a orientare lo sguardo. Qualche appunto, adesso, abbozzo di un viaggio di novanta chilometri da Stienta a Porto Tolle. Sulla piazza di Stienta venne piazzata la macchina da presa di Antonioni per Il grido, spostata poi a Occhiobello, location anche di Ossessione e Il mulino del Po firmato Lattuada. A Canaro c’era una volta l’osteria del Bragana, set visconteo sempre per Ossessione. Due foto d’epoca negli spazi della mostra ne conservano il ricordo. Lo spettacolo del fiume si contempla dall’approdo Fetonte, nei pressi di Crespino. Leggenda vuole che il figlio di Apollo sia caduto nelle acque del Po mentre volava sul carro paterno, a due passi dal piccolo comune. Certezza cinematografica la presenza in loco di Mazzacaruti per L’estate di Davide e La giusta distanza. Le case colorate lungo il canal Naviglio e i portici di Loreo furono scenografie di Quando la pelle brucia, titolo originale La sterba, dramma a sfondo sociale di Renato Dall’Ara, e del bizzarro Il mistero di Lovecraft, 2005, di Federico Greco e Roberto Leggio, imperniato su un ipotetico viaggio italiano dell’orrorifico scrittore americano. Horror, dunque Pupi Avati, La casa dalle finestre che ridono, girato nel Ferrarese e a Ca’ Venier, sul Delta del Po. E sul Delta, a Pila, Mario Soldati diresse Sophia Loren in La donna del fiume. Dal paniere della retorica va ripescato l’aggettivo affascinante, il migliore che si possa scegliere per Porto Tolle e i fantasmi geografici del sesto episodio di Paisà di Roberto Rossellini. Annota in un saggio il critico cinematografico Gian Piero Brunetta «… ci troviamo di fronte alla totale cancellazione del set, alla trasformazione radicale del suo territorio. Dove c’era l’acqua, oggi c’è terra e viceversa; la chiesa di Tolle, unico punto di riferimento sull’orizzonte nella scena iniziale in cui si vede il partigiano morto che naviga nel Po con il cartello sul petto, è stata demolita dopo l’alluvione del ‘66…. del casone Pancirli rimane solo un cumulo di pietre… sprofondato di circa un metro e mezzo sotto il livello del mare, e l’ubicazione esatta dei ruderi è conosciuta solo dai pescatori». Il Polesine è tutto, il Polesine è nulla.

Prima di entrare alla mostra, pensi che un caffè ci starebbe proprio bene. Scegli il Caffè Borsa, in piazza Garibaldi, soltanto perché l’insegna l’hai vista da lontano. Ordini, sorseggi, ti guardi intorno. Gli arredi rimandano a quelli di un locale d’epoca, concedendo qualche spazio a elementi moderni. Non c’è dubbio: il Borsa ha una storia alle spalle. Te ne dimentichi, fino a quando, nell’ultima sezione di Cinema!, ‘Personaggi del Polesine’, noti il ritratto di una donna molto bella. Accanto, il nome della diva, Pietra Giovanna Matilde Adele Pitteo, in arte Dria Paola, Rovigo 1909 – Roma 1993. Figlia del proprietario del Caffè Borsa. Un piccolo moto di soddisfazione precede la lettura della biografia. Esordio in Gli ultimi giorni di Pompei (1926), poi Sole di Alessandro Blasetti (1929) e infine la celebrità con La canzone dell’amore (1930), primo film sonoro italiano, diretto da Gennaro Righelli, sceneggiatura di Luigi Pirandello. Dria si trasferisce a Roma, cinquanta pellicole girate, addio alle scene negli anni ’40. Morirà povera e dimenticata. Un’intervista in video, realizzata da Silvia Nonnato, svela il personaggio numero due: Caterino Bertaglia, Corbola, 1927 – 2105. Fa il barista a Milano quando Mario Soldati, in cerca di un attore che affianchi Sophia Loren in La donna del fiume, lo arruola. Ed è il regista stesso a trovargli il nome d’arte, Rik Battaglia. Cento film di tutti i generi dal ’56 al ’92, fra Italia, Germania e Stati Uniti. Spassosissima, nel video, la sua imitazione di Soldati. Inconfondibile la mano di Fellini nelle caricature che occupano quasi tutta una parete. Una di queste porta in calce la dedica ‘All’incollatore rapido lo scollatore lento’. Firmato Federico. L’incollatore si chiamava Leo Catozzo, Adria 1912 – Santa Severa, Roma, 1997. Leo inizia, è il 1941, come sceneggiatore e aiuto regista, ma due anni dopo sceglie la carriera di montatore. In vent’anni taglierà e cucirà una quarantina di film a firma di grandi registi. Nel 1957, per Le Notti di Cabiria di Fellini usa il prototipo di un’incollatrice da lui inventata, che porterà il suo nome e sarà adottata in tutto il mondo. Si ritira dopo aver montato La dolce vita e 8 ½, dedicandosi all’attività imprenditoriale. Ultimo personaggio la studiosa di cinema Silvia Nonnato, polesana di Adria. I cimeli provenienti dalla storica collezione del padre Pier Giovanni, da lei affiancato ordinandola e arricchendola ulteriormente, sono stati fondamentali per l’allestimento della mostra. L’Archivio Immagine in Movimento, questo il nome della collezione, giudicata da Alberto Barbera “… in grado di competere per quantità e qualità con quella di Bologna, o di altre raccolte del territorio” potrebbe diventare un’istituzione aperta al pubblico. È in corso il riconoscimento del Mibact come ‘Patrimonio Storico e Culturale’. Ma per gli oltre trentamila pezzi c’è bisogno di una sede e di un investimento non certo faraonico. Questo rimane un problema insoluto.

La mostra e altre indicazioni uitli

Cinema! Storie, protagonisti, paesaggi. Palazzo Roverella, Rovigo. Fino al primo luglio. Per informazioni 0425 460093, cinema.palazzoroverella.com

Il catalogo, edito da Silvana Editoriale, cui si deve anche la produzione della mostra, è in vendita a 28 euro. Saggi di Gian Piero Brunetta, Adriano De Grandis, Roy Menarini e Marco Bertozzi per quanto riguarda il Polesine e il documentario. In appendice, due interventi di Silvia Nonnato e Ferdinando De Laurentis. Nota bene gastronomico: ottimo e curato ristorante nel centro di Rovigo, è L’Alicanto, 0425 421008. Cucina di terra e di mare elaborata con il giusto garbo. A Porto Tolle, vista Delta, imperdibile Canarìn, 339 2193043. Antipasti ittici, anguilla, spaghetti con le vongole, polpo alla piastra. Prezzi di qualche impegno, ma pienamente giustificati (lds)

L’uomo cinema

Nella galleria dei personaggi rodiginie legati al cinema, un posto d’onore spetta a Luigi Bernusso, settantasei anni, una vita che meriterebbe un documentario. In una villetta – magazzino di Porto Viro, Luigi, ex proprietario di sale ed ex proiezionista, custodisce un incredibile museo involontario fatto di oltre quindicimila ‘pizze’ per un totale di più di mille film. Tra quelli girati sul Delta, La donna del fiume, Scano Boa, Quando la pelle brucia. Alle pizze si aggiunge un repertorio di proiettori d’epoca, tutti funzionanti, in sedici, trentacinque e settanta millimetri; due moviole anch’esse in piena efficienza, e una quantità di materiale che solo un esperto riesce a decifrare. Stanze stipate e caos di pura apparenza. Perché Bernusso trova sempre quel che cerca. Un museo unico al mondo