Il poeta Alberto Toni si è spento al Policlinico romano nella notte di venerdì, a 65 anni. Nato a Roma nel 1954, faceva parte a pieno titolo della scuola romana di poesia, nata nei dintorni di piazza Navona, nella casa dove Corazzini riuniva i suoi amici poeti; scuola proseguita nel ’900 da giganti che venivano da diverse regioni, da Palazzeschi a Penna, da Bertolucci a Pasolini, a Rosselli, fino a Bellezza, Magrelli, Antonio Veneziani e Tommaso Di Francesco. Lo avevo invitato, prima che si ricoverasse, al Roman Poetry Festival del 15 giugno nella sede della bella mostra fotografica dei Poeti a Roma in Trastevere. Voleva che aggiornassi per l’occasione la scuola romana della mia antologia L’io che brucia, ferma agli anni ’70. Era un ragazzo quando mi fece leggere il suo primo dattiloscritto: «La chiara immagine», la sua prima plaquette di versi, che risale al 1987 e che gli presentai.

Seguirono traduzioni e raccolte. Originale poi il poemetto Democrazia a cui fecero seguito: Vivo così e Il dolore. L’ultimo volume: Non c’è corpo perfetto (Algra editore), con una presentazione di Maurizio Cucchi è dell’anno scorso. Ha in limine un verso di Wallace Stevens: «Il corpo muore. La bellezza dura». Aveva presagito che il suo male, che l’aveva costretto negli anni a continue trasfusioni di sangue, lo spingesse al capolinea. Cucchi sottolineava la «straordinaria varietà di scelte formali e metriche». Toni lo ricordo innamorato di Saba e Caproni e non c’era poeta del ’900 che non risuonasse nei suoi versi post-moderni. Era colpito dal nitore dell’immagine mentre «tutto tace nei giorni della cura». C’è in quest’ultimo volume, che è della sua piena maturità, una poesia dedicata ad Amelia Rosselli che dice «caldo amore di sempre».

Ho incontrato Alberto quando era ragazzo nel Lungotevere, vicino la casa di Amelia Rosselli, di cui subito parlammo. Era appena tornato da una trasfusione di sangue. Aveva già allora la paura di morire e tremava al solo pensiero di non poter dispiegare la sua poesia, che voleva chiara, ma solo per nascondere l’abisso da cui nasceva. Per un certo periodo ci incontravamo ai funerali, a cominciare da quello di Pasolini e poi di Penna, di Amelia e di Bellezza. Su Facebook aveva avvertito gli amici di una sua assenza temporanea, dovuta a un improvviso ricovero. Sembrava che si trattasse di una breve degenza. Nessuno di noi aveva previsto l’addio. E su Facebook, all’apparire della notizia c’è stato un affollarsi di post desolati, che sottolineavano la mitezza, il carattere amicale del poeta scomparso.