«Se il modello petrarchesco che presiede al genere si connota, nel capostipite, sul piano della forma per il suo carattere monolinguistico (Contini) e, sul piano dei contenuti, che le è correlato, per una omologa riduzione degli estremi nei riguardi di ogni tendenza (o tentazione) all’espressività, il “Canzoniere” baudelairiano, fatta salva la struttura diegetica che lo sottende, ne stravolge radicalmente le forme. Per cui si potrà parlare, sì, di “Canzoniere dell’età moderna”, ma articolato su materiali non petrarcheschi bensì, piuttosto, danteschi, se, come segnala ancora Contini, l’esperienza di Dante comporta, da un lato, la massima escursione del lessico, dall’altro, l’istanza di un Soggetto esso stesso sottoposto a un’incessante divaricazione patemica».
Questo significativo passo, che rimanda al modello del Dante infernale e, in misura minore, purgatoriale – non a quello paradisiaco –, è tratto da Baudelaire dal fango all’oro (il Saggiatore, pp. 164, € 21,00), contenente una serie di saggi di Stefano Agosti, francesista finissimo, sodale di Bonnefoy, Sereni, Segre e Zanzotto (sua la curatela del fondamentale «Oscar» 1973 del poeta di Pieve di Soligo, nonché l’introduzione al «Meridiano», ’99), con marcati interessi sul piano linguistico e interpretativo sfociati in una personalissima teoria del testo poetico di orientamento post-semiologico, associata a sottili implicazioni di ordine psicanalitico e lacaniano. Ricordiamo tra le sue numerose pubblicazioni Il testo poetico (Rizzoli, ’72), Tecniche della rappresentazione verbale in Flaubert (il Saggiatore, ’81), Cinque analisi (Feltrinelli, ’82), Modelli psicanalitici e teoria del testo (Feltrinelli, ’87), Realtà e metafora. Indagini sulla «Recherche» (Feltrinelli, ’97), Il romanzo francese dell’Ottocento (il Mulino, 2010) e gli ultimi titoli, editi sempre dal Saggiatore, dedicati alle figure di Zanzotto, Gadda e Rimbaud.
Il libro ha una conformazione speculare suddividendosi in due parti intitolate rispettivamente Forme e figure e Piani d’analisi che, a loro volta, risultano ripartite in tre capitoli distinti: la prima, più articolata, è tesa a «decostruire» il meccanismo a orologeria del capolavoro baudelairiano, la seconda a scandagliare una scelta di testi esemplari. Partendo dal verso «Mi hai dato il tuo fango e io ne ho fatto oro», tratto dall’Ébauche d’un epilogue, Agosti si sofferma a investigare la configurazione delle Fleurs du mal (oltre due terzi della raccolta risultano accorpati in Spleen et Idéal, la prima delle sei sezioni di cui è costituita: 85 poesie contro le 3 della sezione Révolte nella seconda edizione del 1861), intesa come «violenza espressiva associata a una rinnovata elaborazione formale», intendendo «per unanime consenso, una matrice d’ordine opposizionale (antitesi, ossimori, contrapposizioni, dissonanze ecc.)». Tale ricerca dei contrasti, evidente sin dal titolo della raccolta che presuppone un palese intento programmatico, connota l’impianto esegetico di Agosti, il quale asserisce: «La struttura concettuale del libro risulta investita da una delle più potenti pulsioni emotive che registri la storia della letteratura».
Se è ormai assodato che la poesia di Baudelaire non presenti innovazioni di rilievo sul piano squisitamente formale (in tal senso dirompente sarà la lezione di Rimbaud, Lautréamont e del Coup de dés mallarmeano), affidandosi a un impianto di tipo tradizionale, incarnato soprattutto nella forma archetipica del sonetto, non altrettanto si può dire sul piano contenutistico e nella scelta delle tematiche, di ascendenza disforica: si pensi, tanto per fare un esempio, a certi motivi bassi e degradati (ebbrezza, eros, un ennui che investe la sfera metafisica) o alla «Fourmillante cité» dei Tableaux parisiens (per estensione agli stessi poemetti in prosa di Le Spleen de Paris) e alla lettura che ne fece Benjamin ereditando dalle «corde lirico-rimemorative» di Baudelaire quella sua inimitabile flânerie orientata a esplorare il mondo dei passages, considerati come elemento architettonico avulso dal contesto urbano nonostante tendesse a connotarlo fortemente (ancora il motivo delle dissonanze, delle «pulsioni in contrasto»).
Oltre alla conformazione del canzoniere baudelairiano, documentata attraverso la lettura di passaggi o frammenti particolarmente significativi, Agosti si concentra intorno alle Forme di eros: il corpo, il macabro, con esiti che rimandano sul piano biografico alle figure, alquanto diversificate, di Jeanne Duval, Madame Sabatier e Marie Daubrun che sembrano idealmente completarsi al fine di incarnare un archetipo femminile in grado, come in una metamorfosi, di passare dall’immagine angelicata a quella demoniaca, presaga del disgusto laforguiano per i panni intrisi di sangue mestruale: «Trasformato in “aria impalpabile” che penetra e brucia i polmoni, e successivamente nelle forme della più “seducente delle donne”, il Diavolo, nella Destruction (CIX), in quel deserto di Noia entro il quale si trova ormai il Poeta, gli scaraventa negli occhi, già in “stato confusionale”, l’immagine stessa, l’oggetto per eccellenza di quella che sarà la sua “distruzione”: e cioè il sesso femminile, còlto per di più nella condizione del mestruo».
Ma è sul piano squisitamente tecnico che va ricercata la peculiarità di tale studio, soprattutto nel rilievo degli effetti delle comparaisons: «Vi è però un punto, per questo riguardo, che possiamo considerare centrale, nonché profondamente innovativo, nella produzione poetica di Baudelaire: un punto che ne dichiara la palese appartenenza alla nostra modernità. (…) Si tratta, in poche parole, della tendenza alla rottura dei processi di somiglianza, quali sono presupposti da quella figura concettuale sostitutiva della metafora che è la figura della comparazione». In quest’ottica Agosti, esempi alla mano, sottolinea come la mancata pertinenza della figura del comparante (o del predicato) con quella del comparato, produca una sorta di straniamento che sembra anticipare certi esiti novecenteschi: «le comparazioni finiscono insomma per assumere il ruolo (o il valore) di puri significanti, liberi da ogni relazione con i termini in causa, comparato o comparante, o, per lo meno, liberi da ogni relazione evidente».
Rifacendosi al distico, tratto dalla lirica Je te donne ces vers… (XXXIX), «Ta mémoire, pareilles aux fables incertaines, / Fatigue le lecteur ainsi qu’un tympanon» (reso da Raboni con «antica, incerta favola il ricordo di te / sferzi come un salterio il mio lettore»), Agosti riporta, coniando la variante «battere dei versi (le percussioni ritmiche, gli ictus)», la definizione espressa da Montale nei confronti della Beltà zanzottiana, oltre un secolo dopo la pubblicazione delle Fleurs, secondo la quale il poeta moderno bandisce l’armonia per diventare «percussivo: il suo metronomo è forse il batticuore». Nella parte conclusiva lo studioso prende in considerazione Le Balcon (XXXVI), Harmonie du soir (XLVII) e Le Reniement de Saint Pierre (CXVIII) al fine di allestirne una profonda lettura «sia nell’ambito di quel macrosistema che è la poesia nella sua totalità, sia nell’ambito di quei microsistemi che sono le singole strofe». Riducendo all’osso i riferimenti di carattere biografico e ricorrendo agli strumenti di semiotica e linguistica, Agosti si diverte a smontare e rimontare, con la perizia di un antico artigiano, i reconditi meccanismi che stanno alla base di questa inesausta «ricerca del verso come parola alchemica», dando libero corso, come si legge in bandella, a «metafore, sinestesie, comparaisons che tramutano lampade in sguardi sanguinanti, parole in fate dagli occhi di velluto, languidi baci in liquidi cieli disseminati di stelle».