Il genere del romanzo storico e biografico può contare, in Russia, su una lunga tradizione, che ha avuto, per esempio, significative realizzazioni nell’opera di Dmitrij Merežkovskij e, in altra prospettiva, nella pratica letteraria di importanti rappresentanti del movimento formalista, a cominciare da Jurij Tynjanov, autore di storie romanzate sulla vita di Puškin e dei decabristi. Non a caso, è ancora al centro dell’attenzione la storica serie di biografie di uomini famosi fondata da Maksim Gor’kij nel 1934, a sua volta erede di una collana già esistente in epoca prerivoluzionaria. A questo filone si aggiunga il ramo che si sviluppò negli ambienti dell’emigrazione con Nina Berberova, da un lato, e l’accademico di Francia Henry Troyat (all’anagrafe Lev Tarasov), dall’altro.

Una appendice del genere si protende fino a noi, conquistandosi ampi spazi nelle lettere russe: lo mostra bene l’opera del leningradese Dmitrij Miropol’skij, il cui ponderoso romanzo originariamente titolato 1916 / Guerra e Pace esce ora da Fazi (traduzione di Carmelo Cascone, pp. 778, € 20,00) come L’ultimo inverno di Rasputin.

Dmitrij Miropol’skij è stato copywriter e conduttore radiofonico, artista grafico e pubblicitario, è tra i più noti autori di serial gialli della televisione russa, ha una attività di businessman in diversi ambiti, anche quello del gioco d’azzardo, e la sua narrativa ha esordito sulla falsariga tematica di Tynjanov con un romanzo, 1814, dedicato al Liceo di Carskoe Selo e agli amici di liceo di Puškin. La sua è dunque una produzione da best seller, che induce una lettura appassionata, grazie alle atmosfere da thriller e la scansione temporale da sceneggiato televisivo.

Suddiviso in tre parti Pace, Guerra e Universo, fra il romanzo d’appendice e la spy-story, il libro di Dmitrij Miropol’skij si concentra sulla vita del giovane Majakovskij e gli eventi della prima guerra mondiale (il titolo stesso nell’originale gioca sulla coppia semantica della parola mir, pace o universo, così come Majakovskij aveva giocato sul suo poema Guerra e universo vs Guerra e pace di Tolstoj), e ha inizio con il ritrovamento del cadavere di Rasputin. Si riavvolge poi all’indietro, per ricostruire tra fedeltà documentaria e fantasia l’intricata tela storica della Pietroburgo negli anni della pace, dedicando molte pagine all’anniversario della dinastia dei Romanov, in tempo di guerra, al turbolento mondo artistico dell’avanguardia futurista, alla vita di palazzo tra intrighi, tradimenti e esaltazione mistica, per chiudersi con il suicidio di Majakovskij.

Sia il poeta della rivoluzione, che Feliks Jusupov, l’assassino di Rasputin, condividono il ruolo protagonista nei due filoni narrativi, che procedono distanti per poi intrecciarsi quando casualmente l’auto in cui viaggiano Majakovskij e Lilja Brik investe il cadavere del «diavolo santo» Rasputin e il suo assassino. In definitiva, Rasputin si trova così a coesistere e interagire con l’iconoclasta «tredicesimo apostolo» majakovskiano in un tentativo romanzesco di rileggere i tratti anche storiosofici dei destini della Russia.
Miropol’skij, che inserisce nella narrazione gran parte dei letterati e uomini politici del tempo, parte da fonti memorialistiche e letterarie di prima mano per poi proporre nella terza parte una propria specifica concezione della storia della Russia e della «sua missione».

Lontano dagli sforzi profusi dall’autore nella sua interpretazione storiografica, il lettore italiano si avvantaggerà di una immersione diretta nel turbine degli eventi, dei quali non dovrà verificare né valutare la veridicità storica, godendo invece dell’esotico fascino che via via pervade il romanzo.