Il «piano nazionale di resilienza e ripresa» (Pnrr) sarà approvato stamattina in maniera definitiva dal consiglio dei ministri e, dopo avere incassato il voto bulgaro della larghissima maggioranza che sostiene il governo sarà inviato a Bruxelles nei tempi voluti dal presidente del Consiglio Mario Draghi. Oltre al «Pnrr» da 191,5 miliardi, e a un fondo complementare finanziato con 30,6 miliardi, sono stati stanziati entro il 2032 altri 26 miliardi per altre opere. Dal Fondo Sviluppo e Coesione arriveranno 15,5 miliardi (totale 248 miliardi). A tali risorse, si aggiungono poi quelle rese disponibili dal programma React-Eu che, per il triennio 2021-2023 prevede 13 miliardi. Si sale a 261 miliardi. Da investire, secondo modalità stringenti dettate dai criteri di valutazione della Commissione Europea tutte entro il 2026. Se non saranno spesi rispettando la tempistica che sarà definita nelle prossime settimane con il governo le risorse possono anche essere bloccate. Garante dell’intero processo è lo stesso Draghi, una metafora vivente del piano e di tutte le sue promesse di adattare un sistema travolto dalla crisi alla nuova realtà pandemica del capitalismo.

Gli obiettivi del progetto, accompagnato da toni destinali e salvifici, sono stati riassunti dal ministro dell’Economia, Daniele Franco in una videoconferenza organizzata con gli omologhi di Germania, Francia e Spagna. Le «riforme strutturali» riguardano la pubblica amministrazione, la giustizia civile, gli appalti e la concorrenza. Sono ritenute da Franco necessarie per raggiungere una crescita «robusta e sostenibile nel medio termine» riducendo i divari, di genere, territoriali, puntando su donne, giovani e sul Mezzogiorno. Al termine di un percorso incognito a parere del ministro uscirà un paese più moderno, inclusivo, digitalizzato e sostenibile dove transizione ecologica sarà diventata un percorso «irreversibile». Qualche elemento di criticità in questa teleologia della storia, rinnovata con la retorica eco-digitale, è stato ipotizzato ieri dal ministro dello sviluppo Giancarlo Giorgetti. Molti settori dell’economia rischiano di saltare e, con essi, i lavoratori. La transizione ecologica «spinta dall’Europa» va guidata e accompagnata. «Un conto è scrivere progetti, un altro è fare le riforme. A questo dovrebbe pensare lo Stato al quale si assegna un ruolo di regolatore e assicuratore dei danni prodotti dal mercato. Per Giorgetti non va lasciato «indietro nessuno». Nel frattempo ci sono già un milione di poveri in più e 945 mila persone senza lavoro. Stanno ancora aspettando che qualcuno li guardi dallo specchietto retrovisore nella corsa verso il «Recovery».