«Si è voluto riscrivere una verità. Il politraumatizzato Stefano Cucchi che muore di suo, e sono riusciti a farlo credere, incredibilmente, per sei anni». C’è stata «una attività di depistaggio ostinata, che a tratti definirei ossessiva. I fatti che oggi siamo chiamati a valutare non sono singole condotte isolate ma un’opera complessa di depistaggi andati avanti fino al febbraio 2021. Un’opera sconcertante con la finalità non solo di depistare l’autorità giudiziaria, ma farlo anche da un punto di vista mediatico e politico. Fattori che hanno un rilievo enorme dato che nello stesso giorno in cui muore Cucchi, 4 carabinieri vengono indagati per concussione nei confronti di Piero Marrazzo».

Sono alcuni passaggi della requisitoria che il pm Giovanni Musarò ha pronunciato ieri nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma, durante una delle ultime udienze del processo sui depistaggi seguiti alla morte di Stefano Cucchi. Imputati, 8 carabinieri tra i quali il generale Alessandro Casarsa, all’epoca dei fatti comandante del Gruppo Roma, e Lorenzo Sabatino, allora comandante del reparto operativo dei carabinieri della Capitale.

La procura di Roma, che ha aperto il fascicolo sui depistaggi durante il processo Cucchi bis conclusosi con la condanna dei carabinieri imputati, era presente ieri anche con il capo Michele Prestipino. Musarò ha evidenziato che solo uno degli 8 imputati, Colombo Labriola, allora comandante della stazione di Tor Sapienza, è stato collaborativo: «È l’unico che ha detto tutto, che non si è sottratto alle domande, che non ha scaricato la responsabilità sugli altri. Ha accusato tutti gli ufficiali. E guarda caso è spuntata la testimonianza di un maresciallo finalizzata solo a dire che è inattendibile». In ogni caso, ha sottolineato il pm antimafia, «questo non è un processo all’Arma, ma ad 8 militari, e bisogna evitare qualsiasi strumentalizzazione». Nell’udienza fissata per la prossima settimana la procura presenterà le proprie richieste di condanna, poi sarà il turno alle difese per la requisitoria. e. ma.