La sentenza arriverà fra qualche giorno. Ma intanto il 27 febbraio è arrivata la richiesta del pubblico ministero. Aldo Milani, storico fondatore del Si Cobas rischia due anni e quattro mesi di carcere per estorsione. Una accusa grave, ma già ridimensionata dallo stesso pubblico ministero. «Condannatelo, ma tra le attenuanti riconoscetegli anche quella dell’aver agito per motivi di particolare valore morale o sociale», ha chiuso l’arringa la pm Claudia Natalini di Modena: destinato quei soldi anche ai lavoratori che non avevano più un’occupazione.
I fatti risalgono alla fine del 2016 e all’inizio del 2017, quando il Si Cobas era protagonista di una prolungata protesta per il destino di lavoratori del settore carni. In particolare, secondo la procura, Milani avrebbe estorto denaro alla famiglia Levoni di Castelnuovo Rangone, proprietaria della ditta Alcar Uno.
In particolare Milani avrebbe preteso dai Levoni una cifra tra i 60mila ed i 90mila euro (non è stata ricostruita con certezza nel corso delle indagini) per la «cassa di resistenza» del sindacato. La pm ha per questo parlato di una trattativa legale, la vertenza ufficiale, ed una illegale, legata appunto ai soldi richiesti per la cassa di resistenza del Si Cobas.
Nel gennaio 2017 Milano fu addirittura arrestato per tre giorni e poi rilasciato.
I 52 licenziati di Alcar Uno, filiera Levoni, all’atto di fare richiesta di accesso alla Naspi avevano scoperto che le cooperativa Alcar Uno, in appalto per Levoni, non aveva versato i contributi Inps per maturare l’ammortizzatore sociale. Milani chiese che Levoni saldasse quest’ammanco, «ovviamente non certo consegnando del denaro liquido – come sosteneva l’accusa – bensì versando le somme contributive nelle modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24», specifica il SiCobas.
«L’accusa sostiene che Aldo avrebbe fatto l’estorsione per la cassa di resistenza, perché secondo loro i solidali che vengono a sostenere le lotte – gli operai dei Cobas dal di fuori, gli anarchici ed i centri sociali – prenderebbero 70 euro ciascuno e che tali soldi proverrebbero proprio dalla cassa di resistenza», attacca il Si Cobas.
Scrive l’avvocato Marina Prosperi, difensore di Milani: «È caduto il teorema che portó all’arresto di Aldo Milani. La procura non lo dipinge più come sindacalista intento ad intascare una mazzetta per fare terminare gli scioperi, ma con virata impressionante ne sta processando l’essere sindacalista, la sua opposizione allo sfruttamento nel sistema Modena: la catena di cooperative dedite al caporalato. Emerge un mondo imprenditoriale senza scrupoli e protetto da personaggi come il funzionario Digos che esulta e dice di aver arrestato il “Luciano Lama della Cgil degli anni d’oro”», come risulta da un’intercettazione.