Tutto è nato lì, da quei maledetti fatti di Napoli. Un dramma personale, prima di tutto: quello di Eddy De Falco, un pizzaiolo che si toglie la vita dopo un’ispezione e una multa, lo scorso 20 febbraio. Da lì il caos dei social network e dei talk show. L’informazione spesso superficiale che crea il «mostro», in questo caso i tre ispettori del lavoro che il giorno prima del suicidio avevano condotto l’ispezione. Nessuno però che abbia invitato quegli ispettori a parlare, a dire la loro. Nessuno che abbia pubblicato l’esatto contenuto di quel verbale: insieme al pizzaiolo non c’era solo sua moglie, quasi per caso, come si è detto in tv. C’erano anche un cassintegrato, che è fuggito, e una lavoratrice pagata solo 10 euro al giorno, per 8-9 ore di lavoro. E tutti e quattro, incluso il titolare, erano completamente in nero: nessun contratto è stato esibito, nessun versamento di contributi a Inail e Inps. Abbiamo incontrato uno dei tre ispettori, che non può diffondere il suo nome non solo per le minacce ricevute, ma anche perché sulla morte di De Falco potrebbe essere in corso una indagine.

Prima dei fatti di Casalnuovo, la località dove si trova la pizzeria, voi avevate subito minacce?

Episodi di violenza, di aggressione fisica e verbale, ci sono sempre stati. A febbraio si sono introdotte in casa mia due persone: e hanno fatto saltare la mia auto con una bottiglia incendiaria. Si è creata una avversità nei confronti dello Stato, perché si presenta solo per prendere e non per dare. Se non si inverte questa equazione, se non si prende con una mano e si dà con l’altra, noi siamo destinati a fallire come sistema Paese.

Arriviamo a quell’ispezione.

Quel giorno, senza saperlo, abbiamo toccato un vetro fragile. Abbiamo iniziato chiedendo se non ci fossero state altre ispezioni, e De Falco ci consegnò un verbale della guardia di finanza. Si disponeva la chiusura del locale per evasione fiscale: solo che non era operativa, perché devi fare più di un’infrazione per l’effettiva chiusura.

A quel punto avete visto un uomo che fuggiva dal locale.

Sì, una persona in tenuta da lavoro. Non siamo riusciti a prendere le sue generalità. De Falco ci ha spiegato che era un cassintegrato.

Quindi avete rilevato la presenza di altre persone in nero.

Sì, altre due persone, oltre il titolare. Ma dico subito che alla fine dell’ispezione, De Falco ha sottoscritto il verbale, che è un atto pubblico. Ma di quel verbale è stato fatto un uso da sciacalli: è stato pubblicato sui social network con i nostri nomi e cognomi, esponendoci a rischi personali. Ed è stata omessa la parte in cui si riferisce del cassintegrato e di un’altra ragazza in nero, dando evidenza solo alla presenza della moglie del titolare. A parte il fatto che al momento noi non abbiamo potuto appurare se fosse davvero la moglie, ma lo diamo per buono, vorrei dire che la presenza di questa donna era comunque irregolare: nessun contratto, né registrazione all’Inps o all’Inail. Insomma: come se fossimo stati eccessivamente severi, visto che è quasi normale che una moglie “dia una mano”.

Ma, appunto, non c’era solo lei a lavorare in nero.

C’era infatti la ragazza pagata 10 euro al giorno per 8-9 ore – cioè 1,20 euro l’ora – lì da un anno. E il cassintegrato. E tutte e quattro le persone, incluso il titolare, erano in nero o irregolari: non ci è stato fornito nessun contratto, né i contributi all’Inps o all’Inail.

Dicono che perseguitate solo i pesci piccoli.

Non è vero. Io personalmente ho chiesto la revoca di un appalto pubblico di 27 milioni di euro. E ai miei colleghi capita lo stesso.

Siete mai stati invitati in tv?

In quei giorni i social e i talk show erano scatenati, ma sono stati invitati solo i familiari. Io ho scritto una mail alla Rai, alla Vita in diretta. Può darsi che abbia sbagliato indirizzo. Ma potevano cercarci.

Voi avete dovuto imporre la sospensione dell’attività. Avete detto a De Falco come avrebbe potuto fare per riaprire?

Rilevando il lavoro nero, devo obbligatoriamente emettere una multa e chiudere il locale. Che però può essere aperto già l’indomani: De Falco avrebbe dovuto pagare 1950 euro, più 32 di bollo, per riaprire subito, e regolarizzare la ragazza. Senza pagare nulla per lei, solo comunicandoci l’assunzione telematicamente. La revoca della chiusura ha una priorità per chi si mette in regola subito.

Ma se l’impresa non ha i soldi?

Infatti De Falco ci chiese: «Ma se i soldi non li ho?». È una domanda giusta, ma non possiamo essere noi a rispondere. Da cittadino, e non da ispettore, direi che sarebbe meglio che lo Stato, alla prima ispezione, non ingiungesse subito la sanzione: ma che desse una finestra di tempo, entro cui devi metterti in regola. E poi dovrebbe dare spazio al ricorso: in questo modo, mi pare si voglia solo fare cassa, ledendo il diritto alla difesa.

Lei si sente in colpa rispetto a De Falco, alla sua morte?

Devo essere sincero? A me dispiace per come sono andate le cose, ma non mi sento in colpa. Ho applicato la legge, per delle violazioni che c’erano. Vorrei però chiedere scusa alla moglie. Ma non per la nostra ispezione, che andava fatta. Ma per le norme attuali: lo Stato non riesce a essere «amico» dell’impresa, ma è repressivo a prescindere. Io dico: prima dovrei poter informare, e solo dopo il primo avviso, allora dovrei reprimere.