Quest’anno il nome che risuona è sicuramente quello di Leonardo da Vinci: per il cinquecentenario dalla sua morte fioccano mostre in ogni parte del mondo. Ma c’è un’altra ricorrenza che segna sempre cinque secoli ed è da non sottovalutare: è quella della nascita di Jacopo Robusti (detto il Tintoretto), che vide la luce a Venezia tra il 1518 e il 1519, il pittore dei contrasti aspri sia nella vita che – magnificamente – sulla tela.

Tintoretto. Un ribelle a Venezia è il docu-film, distribuito da Nexo Digital (ancora oggi e domani) che celebra l’anniversario dell’artista. Se la regia è di Giuseppe Domingo Romano, a idearlo e scriverlo ci ha pensato Melania G.Mazzucco, autrice già di un dittico imperniato sulle vicissitudini di questo figlio di «tintore» di cui ha romanzato la vita con grande fortuna editoriale (Jacomo Tintoretto & i suoi figli e, prima, La lunga attesa dell’angelo). Il film vede la presenza in scena di Peter Greenaway, mentre la voce che accompagna lo spettatore dentro chiese e Scuole delle confraternite è quella di Stefano Accorsi.

La storia di Tintoretto è molto particolare: si è trovato a operare in Laguna proprio negli anni in cui rifulgeva l’astro principesco di Tiziano (comunque fuori da Venezia, in giro per corti, anche se la leggenda narra che provasse a mettere i bastoni fra le ruote al pittore suo concorrente in ogni modo) e poi dovette fare i conti con i preziosismi di Veronese, amatissimo dall’aristocrazia. Lui, invece, dipingeva con la pura luce, impastando direttamente i pigmenti, chiamando le ombre in primo piano, rendendo ambrato l’incarnato di donne (popolane) e scegliendo un tocco veloce e non finito.

Una tecnica rivoluzionaria, modernissima – le avanguardie del ’900 guarderanno anche a lui – ma che, unita a un carattere selvatico, lo rese vulnerabile: i committenti lo hanno accusato più volte di non accuratezza nel lavoro. Eppure, è stato il primo artista interattivo, l’unico in grado di catapultare l’osservatore al centro dell’azione (sempre concitata e molto cinematografica). Il documentario mostra anche la Venezia del tempo, la quotidianità dei suoi sestrieri, la working class dell’epoca, di cui Tintoretto interpretò gli umori.