I dilemmi principali della politica britannica di questo periodo vertono sull’uscita (propria) dalla Ue e l’entrata (altrui) nel paese. La prima è un rischio possibile; la seconda una calamità sociale da evitare a ogni costo. Non certo per gli «expat» stranieri – sempre benvenuti – ma per i migranti. La tutt’altro che sottile differenza fra i due termini, naturalmente, è che i primi hanno reddito e dunque dignità giuridica, mentre i secondi – in quanto poveri – non hanno né l’uno né l’altra.
Le immagini che arrivano in questi giorni dal porto di Calais, in cui centinaia di migranti accampati ormai da qualche anno in condizioni disumane hanno tentato un arrembaggio in massa agli autoarticolati pieni di merci in transito verso Dover approfittando di uno sciopero dei portuali francesi, hanno reso le solite grida xenofobiche dei tabloid ancora più stridule.
Ecco dunque una raffica di misure muscolari mirate a rassicurare la maggioranza rumorosa del paese circa l’inviolabilità dei patri confini. A cominciare dalla task force che dovrebbe bonificare il Mediterraneo dagli scafisti, comodamente identificati come tra le principali cause del flusso migratorio verso l’Europa. Secondo quanto anticipato dal «Guardian», a colpire il traffico di clandestini sarà reclutato un team di 90 agenti della National crime agency, della Uk border force (polizia di frontiera), e della procura generale. Una parte sarà dislocata a L’Aia e in Sicilia a fianco dell’Europol, mentre il resto opererà nel Corno d’Africa, di supporto alle autorità locali nel compito di interrompere, o perlomeno rallentare, i flussi lungo le rotte dei barconi, mentre la marina britannica dispiegherà nel Mediterraneo la nave militare Enterprise al posto della Bulwark. Di stazza assai minore rispetto a quest’ultima, anziché soccorrere i naufraghi dei barconi come parte dell’operazione Triton, la nave avrà un compito poliziesco e farà parte della forza dell’Ue al comando della portaerei italiana Cavour fino al prossimo autunno. Un’ulteriore riduzione del contributo alla risoluzione di una tragedia umanitaria in acque europee da parte del paese che già non aveva contribuito nemmeno con un penny a Mare nostrum.
Al tirare – letteralmente – i remi in barca nel Mediterraneo, lasciando gli altri paesi europei a gestire la pressione migratoria, corrisponde il giro di vite nei confronti di chi nel paese già vive e lavora del tutto legalmente. Solo che a farne le spese, oltre che i lavoratori migranti stessi, sarà anche il sistema sanitario nazionale: quell’Nhs che i Tories in campagna elettorale avevano giurato sarebbe stato messo al riparo da qualsiasi taglio. Annunciate già nel 2012 dal tuttora ministro dell’interno, Theresa May, tutti i lavoratori extracomunitari che hanno lavorato in Gran Bretagna per più di cinque anni dovranno dichiarare di guadagnare più di 35.000 sterline annue, pena l’espulsione. Solo che la scure cadrebbe anche su più di tremila impiegati del personale infermieristico. Simili misure rischiano di mettere in ginocchio l’Nhs, la cui forza lavoro, dai medici condotti alle infermiere, è massicciamente composta da lavoratori asiatici. Tanto da attrarre sul governo i fulmini del sindacato del personale medico, il Royal college of nursing, che ha invitato caldamente a emendare le misure, che interesseranno naturalmente molti altri impieghi a retribuzione bassa.
Quanto alla situazione sulla Manica, Cameron ha proposto una tregua nello scaricabarile tra le autorità di Calais e Dover. Rispondendo conciliante al sindaco di Calais, Natacha Bouchart, che aveva accusato la Gran Bretagna di non contribuire per nulla al contenimento del problema, il premier ha promesso aiuti sempre polizieschi: unità cinofile su suolo francese, azione di concerto con altri paesi europei per scoraggiare i migranti dall’intraprendere viaggi della speranza e soprattutto, dissuasione soft dal venire in Gran Bretagna.