“Anche io piloto un Airbus A320, come quello che ha avuto l’incidente in Francia. E certo non è piacevole pensare che potrebbe accaderti una cosa simile. Ma noi ci sentiamo sicuri, i nostri voli sono sicuri”. Stefano Di Cesare, 45 anni, lavora come primo ufficiale in Alitalia e nel sindacato è responsabile piloti della Fit Cisl. Spiega che gli standard applicati nel sistema di controllo, fissati in Italia dall’Enac, sono rigidi e vengono rispettati: ma dall’altro lato, le compagnie low cost, alcune almeno, esercitano una pressione sul personale navigante tale che a volte il confine tra regola e trasgressione diventa molto sottile.

Cosa avete pensato, tra piloti e assistenti di volo, quando avete saputo dell’incidente?

Io sono in Alitalia da 17 anni, e da 12 lavoro proprio sugli Airbus A320. Quindi sono veicoli familiari, che conosco bene. Nel caso dell’aereo che ha avuto l’incidente, se ho capito bene, parliamo di un’anzianità di 24 anni, la nostra flotta Alitalia ha una media di 8 anni: ma se i controlli e gli standard sono rispettati, la maggiore età di un aeromobile non lo rende meno sicuro. Prima di ipotizzare qualsiasi cosa, dobbiamo aspettare di capire cosa contengono le scatole nere, sapere cosa è successo nel cockpit, la cabina di pilotaggio, e nell’intera cellula dell’aereo, sentire le analisi degli esperti.

Vi sentite sicuri?

Qui posso parlare come pilota Alitalia, e dico sì: ci sentiamo sicuri. Gli standard di controllo sono alti, e noi li rispettiamo con assoluto rigore.

Vale anche per le compagnie low cost?

Gli standard fissati dall’Enac sono uguali per tutti, quindi sia le compagnie tradizionali che le low cost applicano procedure operative e di discrezionalità da parte dell’equipaggio, che sono praticamente equivalenti. Ma certamente alcune low cost, avendo come primo obiettivo il massimo utilizzo degli aeromobili e la massimizzazione del profitto, diciamo che stressano di più il personale, e questo può ripercuotersi sulle procedure e sul grado di discrezionalità nel prendere le decisioni.

In pratica si rischia di avere un grado di sicurezza inferiore?

Non possiamo generalizzare. Ci sono low cost come Easyjet che in realtà sono molto vicine allo standard di compagnie tradizionali come Alitalia. Non c’è quello stress sui piloti e sugli assistenti di volo che invece troviamo esercitato in altre compagnie. Il personale non sempre riesce a esprimere dubbi e lamentele, ci può essere il timore di parlare con il sindacato o con la stampa: in Ryanair, ad esempio, i piloti e gli assistenti di volo hanno denunciato più volte, spesso camuffandosi, una pressione sui tempi. L’ultimo servizio l’ho visto alla tv tedesca. Intendiamoci, si resta comunque dentro gli standard di sicurezza, ma la linea di travalicamento può diventare molto sottile se devi per forza riportare l’aeromobile alla base.

Gli standard ci sono, insomma, e tutti devono ugualmente rispettarli, ma poi si corre. E se ci sono anomalie nell’aeromobile?

Può capitare in casi eccezionali che qualcuno voglia spingere la macchina al massimo, pur di portare a termine il volo: volo che in altre aziende, dove l’organizzazione e i tempi sono diversi, magari avresti cancellato. La decisione è autonoma e spetta al comandante e al primo ufficiale, che in genere decidono insieme: la responsabilità giuridica, comunque, secondo il Codice di navigazione, alla fine è solo del comandante. Se le pressioni della compagnia sono forti, il margine di discrezionalità si restringe. Se vedo che c’è un’anomalia e decido di restare a terra, garantisco più sicurezza.

La presenza del sindacato, di un contratto, aiuta? Nelle low cost non sono molto presenti.

Dico sempre che ovunque ci sia il sindacato confederale, il personale si sente più tutelato, anche nel denunciare le anomalie. Ma, è ovvio, non significa automaticamente che ci sia più sicurezza. In Alitalia ad esempio abbiamo un ente preposto a queste problematiche, e una figura di raccordo tra l’azienda e il sindacato.