«Dario non era semplicemente un uomo libero, era la libertà incarnata. Un uomo fortunato di virtù che lo divertivano, coronate da un’insaziabile curiosità. Descrivere una perdita così è straziante quanto impossibile». Con queste parole Beppe Grillo ha salutato Dario Fo, al quale era legato anche da una recente sintonia politica.

Disse una volta un altro comico, Daniele Luttazzi, polemizzando col suo collega genovese: «C’è un’ambiguità di fondo quando un comico si erge a leader di un movimento politico volendo continuare a fare satira. È un passo che Dario Fo non ha mai fatto. La satira è contro il potere. Contro ogni potere, anche contro il potere della satira».

Tuttavia, il grande attore premio Nobel non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per il Movimento 5 Stelle. «Noi non ci siamo riusciti, fatelo voi, ribaltate tutto»: disse dal palco di piazza San Giovanni nel 2013, prima del boom pentastellato alle elezioni politiche. Pochi mesi prima aveva manifestato per la prima volta il suo appoggio al suo amico Grillo: «Lo conosco da vent’anni e guardandomi intorno preferisco lui agli altri».

C’era poi stato Il Grillo canta sempre al tramonto, libro assieme a Grillo e Casaleggio che è una specie di manifesto politico, nel quale Fo pungola i due interlocutori. Nella prefazione si paragona al retore ellenico Luciano di Samosata, che nel I secolo dopo Cristo scrisse La nave, un dialogo a più voci con due suoi amici circa «i progetti più famosi che avevano in mente di realizzare». I due amici, in questo caso, sono proprio i due fondatori del M5S. In quel volume, ad un certo punto Grillo offre una descrizione quanto mai sincera della sua creatura politica e della divisione di ruoli con Casaleggio: «Noi abbiamo due facce: una è costituita da un’organizzazione manageriale, di strategia e di comunicazione, l’altra è quello che sono io, la strada, la piazza, la gente».

Alla «gente» di cui parla Grillo si rivolgeva Fo, da essa era attratto da sempre. Si può dire che la seguiva invece di condurla. Ecco perché si era infilato anche in mezzo a quel popolo trasversale e complesso che si andava radunando sempre più attorno a Grillo e Casaleggio. Con il primo, Fo aveva in comune la cacciata dalla televisione ad opera della politica: lui aveva conosciuto la cacciata dalla Rai per Canzonissima nel 1962 a causa di uno sketch sulla sicurezza nei cantieri edili, Grillo ventiquattro anni più tardi da Fantastico 7 per una battuta sui socialisti (peraltro in parte anticipata dal suo autore di allora, Stefano Benni, in un corsivo uscito proprio sul manifesto).

Con Casaleggio condivideva molto meno, anche se il lato visionario di quest’ultimo incuriosiva l’artista, uomo poco avvezzo alle sottigliezze digitali delle tattiche del guru pentastellato. Lo ha spiegato bene lo storico (e consigliere di Casaleggio) Aldo Giannuli al sito Formiche.net: «Gianroberto era più influenzato da quel filone californiano che unisce democrazia diretta, spirito libertario, spirito tecnologico-informatico e una spruzzata di liberismo. Tutto mescolato insieme. Mentre Fo non lo definirei un libertario». Ma sulla fase «grillina» di Dario Fo ha contato anche il percorso politico di Franca Rame, che si era ritrovata senatrice nell’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro proprio negli anni in cui Casaleggio ne gestiva la comunicazione.

Non si capisce la posizione di Fo se non si coglie la capacità del M5S di muoversi sul filo di lana tra destra e sinistra per accontentare ogni tipo di elettore. Da questo punto di vista, rappresenta quella fetta di orfani della sinistra passati a votare Grillo per vendetta contro i nuovi poteri. Anche se Fo non era reticente e non mancava di dissentire, perché la sua adesione al grillismo, spiega da Radio Popolare un conoscitore della sua storia e di quella della sinistra milanese come Danilo De Biasio, «non va letta in chiave partitica: Dario Fo restava libero». Come quando definì «una stronzata» una delle (tante) uscite para-xenofobe di Grillo.

O come quando, un mese fa appena, disse a Repubblica: «Nel M5S bisogna che si cancelli tutto. Occorre che tutto torni ad essere come una pagina bianca. Poi si potrà tornare a fare i conti».