I cartelli ci avvisano subito: quella che stiamo per vedere è una «storia vera» ma è anche un romanzo di Alissa Walser da cui appunto Barbara Albert ha tratto il suo nuovo film, Mademoiselle Paradis. Un doppio passaggio, dunque, anzi triplo se consideriamo l’appropriazione di Albert che traduce nel proprio universo la vicenda della diciottenne Maria Theresia Paradis, vissuta a Vienna alla fine del Settecento, virtuosa pianista e compositrice, fondatrice di una scuola di musica per ciechi. Che riacquistò la vista per un breve periodo grazie alle cure sperimentali di un medico, Franz Anton Mesmer e alle sue terapie «sperimentali» basate sull’energia, sul fluido del corpo e su una sorta di ipnosi molto poco ortodossi per l’epoca e la città su cui governava inflessibile l’impero di Maria Teresa d’Austria.

 

 

Alla ricerca dei fantasmi nella psiche, dei rimossi quasi precorrendo Freud – la ragazza si è svegliata all’improvviso cieca all’età di tre anni – i medici di corte preferiscono le cure drastiche di sevizie elettriche e polverine infernali che hanno lasciato Resi, come la chiamano, senza capelli e con la cute piena di pustole. La sua unica gioia, e il solo rapporto col mondo è per lei la musica, le sue mani di corrono sicure sulla tastiera, velocissime, cercano le note, accarezzano il tempo quasi accordandosi così all’esterno per lei invisibile.

 

 

Eppure Mesmer riesce pian piano a farglieli aprire gli occhi, liberandola da parrucche e corsetti, anche se è incerta, anche se nessuno ci crede: vede Resi o vuole vedere per compiacerlo? E lui è davvero qualcuno capace o è un impostore?
Ma la luce è violenta e soprattutto ciò che fino allora la ragazza poteva appena immaginare rivelato nella sua evidenza è brutto e doloroso: miseria, sopraffazione, meschinità. I bimbi dei poveri schiacciati dalle carrozze, la giovane cameriera con cui è diventata amica molestata e stuprata dal ricco e poi messa alla porta.

 

 

Il padre arrogante – forse proprio l’abuso paterno potrebbe averla fatta precipitare nella cecità – la madre crudele, le altre ragazze che parlano solo di come piacere e compiacere ricchi maschi. E la musica che mentre gli occhi cominciano a mettere a fuoco sembra sfuggirle, quasi che il caos a cui ora ha accesso, gli oggetti e la realtà che non riesce a nominare la strappino per sempre dall’ordine dei tasti che è stato il suo rifugio e conforto.
Albert compone con Resi – di cui sa restituire la cecità e gli spaesamenti senza inutili virtuosismi la giovane Maria Dragus – una nuova figura nella sua narrazione di un femminile che dall’esordio Nordrand – fino a The Dead and the Living – evidenzia una situazione di scontro con quanto lo circonda. Un film sul vedere, dunque, Mademoiselle Paradis, e sulla consapevolezza, quasi un romanzo di formazione e insieme una metafora – a tratti forse troppo sottolineata – che oltre al tempo storico in cui si ambienta arriva fino al presente.

 

 

È una sfida quella che dichiara Resi con la sua presenza e le sue conquiste opponendosi alla famiglia e guardando, quando la vede o pensa di vederla con orrore la corte dei ricchissimi a cui appartiene; i suoi occhi ne evidenziano l’ipocrisia e la crudeltà che sono i segno dell’epoca e la sua violenza.

 

 

Lei che la prima inquadratura ci mostra al piano, con la madre accanto che le intima di non dondolare, «attrazione» da circo – «le abbiamo insegnato pure a ballare» – e che poi alle altre ragazze quando le chiedono chi trova bello risponde la cameriera, diviene all’improvviso un elemento di disturbo: per quell’ordine, per i suoi riti, per ciò che impone alle donne come lei – «Il talento si eredita dai geni maschili» chiosa il padre riferendosi alle capacità musicali della ragazza, lui che pensa solo ai soldi e alla fama di riflesso.

 

 

Nei passaggi esistenziali di Resi il salto della consapevolezza, la presa di coraggio sarà quella di «fuggire dal mondo». Senza arrendersi però: sarà capace di di rivelarlo nella sua musica, con la tastiera, le note la mente e il cuore che ne traducono i conflitti e la disperazione. «Non puoi suonare qualcosa di più allegro» le chiede la madre, lei la zittisce. La sua battaglia ha trovato nuove forme.