Mohammed al-Haddad, 17 anni, è la prima vittima palestinese del fuoco israeliano sulle proteste contro il piano di «pace» di Donald Trump. È stato ucciso ieri ad Hebron, a Bab al-Zawya, checkpoint che divide la città vecchia (sotto controllo israeliano) dal resto della comunità palestinese. Il luogo dove si concentrano da decenni le manifestazioni dei palestinesi contro l’occupazione.

«Mohammed al-Haddad è stato ucciso da un proiettile che gli è penetrato nel cuore durante scontri con le forze di occupazione», fa sapere il ministero della Salute dell’Autorità nazionale palestinese (Anp). Insieme ad altri giovani stava lanciando pietre ai soldati israeliani, dicono dei testimoni.

Secondo l’esercito israeliano, stava lanciando una molotov: «Abbiamo risposto con il fuoco al fine di rimuovere la minaccia», il commento del portavoce dell’esercito di Tel Aviv.

Non si placa la rabbia palestinese, sebbene le manifestazioni nei Territori occupati mantengano una bassa partecipazione, figlia della frustrazione ma anche dell’idea che nella vita di tutti i giorni cambi poco. Dopotutto il controllo israeliano su Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est è già realtà.

Intanto il piano Trump sta per finire davanti al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, sotto forma di risoluzione la cui bozza – redatta da Tunisia e Indonesia insieme all’Anp – circola già da ieri tra i 15 membri: una mozione che «condanna il piano israeliano di annettere le colonie» e che «ribadisce l’illegalità dell’annessione di qualsiasi parte» dei Territori palestinesi occupati. Dovrebbe essere votata all’inizio della prossima settimana e sicuramente bloccata dal veto di Washington.

In questo caso, fa sapere Riyad Mansour, rappresentante permanente della Palestina all’Onu, la risoluzione sarà portata di fronte all’Assemblea generale che, vista la maggioranza di paesi contrari – come da diritto internazionale – all’occupazione militare israeliana, dovrebbe approvarla. Un’approvazione senza effetti pratici ma che almeno – aggiunge Mansour – mostrerebbe l’opposizione internazionale al piano statunitense.

A fare pressione perché almeno se ne parli in sede Onu è Mahmoud Abbas, presidente dell’Autorità palestinese. Abbas è atteso al Palazzo di Vetro martedì 11 febbraio. Parlerà al Consiglio di Sicurezza probabilmente in coincidenza con il voto della risoluzione.

Sarà sentito invece oggi dagli ambasciatori degli Stati membri del CdS Jared Kushner, genero del presidente Trump e suo consigliere per Israele/Palestina, colui che ha lavorato al piano presentato la scorsa settimana dal suocero e dal premier israeliano Netanyahu. A lui il compito di spiegare le decine di pagine con cui la Casa bianca sta tentando di istituzionalizzare l’occupazione.