Il Regno Unito torna ad essere un’isola, in tutti i sensi. Il sottotesto implicito della Brexit, quel «difendiamo il paese da ingerenze e stranieri» che ha trasformato il referendum dello scorso anno in un megafono degli umori peggiori che albergano nella società britannica, si appresta a diventare realtà.

Nel giorno in cui alla camera dei Comuni del parlamento di Westminster è iniziato il dibattito sul Repeal Bill, la «legge di abrogazione» con cui verranno modificate o cancellate le norme dell’Unione Europea recepite dalla legislazione locale fin da quando nel 1973 il governo del conservatore Edward Heath fece entrare il paese nella Comunità economica europea, il Guardian ha svelato i contorni di un piano, finora tenuto segreto, che prevede una drastica chiusura delle frontiere del paese agli immigrati provenienti dal resto d’Europa.

Secondo il documento di 82 pagine, intitolato esplicitamente Border, Immigration and Citizenship System After the UK Leaves the European Union, l’esecutivo di Theresa May si sta già organizzando per sopprimere entro i confini del paese la libera circolazione dei cittadini della Ue fin dal marzo 2019, quando l’uscita dal consesso comunitario diventerà effettiva.

La stretta riguarderà ogni sorta di permesso di lavoro e di studio e coinvolgerà anche le decine di migliaia di giovani italiani che già vivono nel paese.

Saranno riviste in maniera fortemente restrittiva anche le norme relative ai ricongiungimenti familiari che potranno coinvolgere solo i parenti più stretti come il coniuge, i figli o eventuali genitori anziani a carico: una novità che potrebbe separare migliaia di famiglie.

L’intero sistema degli ingressi nel Regno Unito sarà inoltre riorganizzato, con l’introduzione di visti temporanei biometrici, contenenti un microchip con le impronte e una fotografia dell’interessato.

Per i lavoratori altamente qualificati saranno possibili dei permessi di soggiorno validi fino a 5 anni, mentre per tutti gli altri sarà sempre più difficile anche solo varcare la Manica.

Secondo Nick Hopkins e Alan Travis, i due giornalisti che si sono procurati il testo redatto dall’Home Office, il dicastero degli Interni, lo spirito delle nuove regole risponde all’idea, cara all’esecutivo conservatore, che «l’immigrazione deve essere vantaggiosa per il paese e i residenti e non solo per i migranti».

Una lettura perlomeno bizzarra del ruolo che i lavoratori stranieri già occupano nella società britannica, dove da sempre – si iniziò nel periodo tra le due guerre mondiali per sostenere la ricostruzione e il rilancio industriale – sono chiamati a coprire i settori in cui la manodopera nazionale risulta insufficiente, che si tratti degli stagionali in agricoltura come del personale ospedaliero.

Se nei mesi scorsi si era assistito a una serie di dichiarazioni contraddittorie ma più caute da parte degli esponenti governativi, forse ispirate all’apertura del terzo round delle delicate trattative tra Londra e Bruxelles, oggi il quadro appare più chiaro.

Indebolita dal voto di giugno, la premier Theresa May intende infatti presentarsi tra un mese al congresso dei Tory come una leader forte, in grado di tacitare le critiche interne dell’ala destra del partito e pronta, in contrasto con tutti i pronostici, a ricandidarsi per un secondo mandato a Downing Street tra 5 anni.

Prospettiva che, dopo il sostegno incassato dal ministro degli Esteri Boris Johnson, appare sempre più probabile anche grazie alla scelta di cavalcare il vento xenofobo che soffia sul paese.

Non a caso dal governo non sono arrivati commenti ufficiali sulla fuga di notizie che ha invece messo in allarme l’opposizione. «L’immigrazione nel Regno Unito deve scendere a livelli sostenibili», si è limitata a dichiarare la stessa May nel Question Time ai Comuni, rispondendo a un’interrogazione dei nazionalisti scozzesi.

Se i conservatori possono contare su questo terreno sul sostegno del partito unionista di estrema destra nordirlandese del Dup, sia il Labour che i sindacati, oltre ai sindaci delle maggiori città, sono già scesi sul piede di guerra.

Per Sadik Khan, il sindaco laburista e pro-Ue di Londra, quello anticipato dal Guardian «è un piano per strangolare la nostra economia, ed è sbagliato e nocivo per la capitale e per tutta la Gran Bretagna».

Analoga la reazione dei sindacati che auspicano invece un periodo di transizione, su questo come su altri temi, a conclusione della trattativa sulla Brexit.

In attesa che si pronunci anche il leader laburista Jeremy Corbyn, la deputata del partito Alison McGovern ha bollato il documento «come parte integrante di quell’approccio cinico e pericoloso all’immigrazione che sta già agendo da deterrente perché le persone abbiano voglia di venire qui». Una piccola Brexit si è già compiuta.