L’impressione è che la sinistra nostrana voglia cogliere la probabile vittoria di Syriza sul piano prettamente politico, piuttosto che su quello economico, cioè pensando a un progetto economico alternativo. Ma ciò che di buono potrebbe arrivare dalla Grecia è innanzitutto una rimessa in discussione del debito sovrano, del suo ruolo e della sua entità. Un problema specificatamente di un paese fallito nei fatti? Dal governo tecnico di Mario Monti, incaricato di risolvere la crisi del debito, l’Italia ha visto passare il suo debito da una percentuale intorno al 120% sul Pil a quasi il 137% (secondo una recente stima del Fondo Monetario Internazionale), un aumento di quasi 17 punti percentuali.

In questi anni però non si sono attenuate le politiche di austerità; e neppure i recenti fattori che dovrebbero favorire una ripresa in Europa, quali l’euro più debole, il calo del greggio, persino l’annunciato bazooka del quantitative easing sembrano avere efficacia. È di questa settimana il suo ripiombare in deflazione. L’austerità, come sappiamo bene, deve concorrere direttamente al pagamento del debito, i cui soli interessi in Italia rappresentano il 75% del suo ammontare totale, nonché la terza voce di spesa nel 2013 dopo previdenza e sanità, ovverosia 82,04 miliardi (pari a 5,3% del Pil). Ecco allora sopraggiungere la trappola del debito, che per l’Italia ha significato anni di avanzo primario coniugati con un aumento del debito sovrano sia in termini percentuali sia assoluti. L’economia a debito, innanzitutto privato, che ha preso campo in questi decenni è stata sotto il segno del rigore per le classi sociali più deboli e dell’espansione finanziaria per quelle dominanti. Tra queste ci sono anche grandi investitori e banche.

Il debito italiano è per il 90% in mano a banche, assicurazioni e fondi pensione (italiani come esteri) e non si può pensare che non esista una soluzione alternativa a quella attualmente messa in opera, né che un parziale ripudio e una ristrutturazione del debito non allevierebbero la situazione come suggerito dall’articolo di Gabriele Pestrello pubblicato sul manifesto del 6 gennaio. La difesa delle banche nazionali non può diventare un alibi per ridurre la cerchia di quelli che dovrebbero pagare la ristrutturazione, dobbiamo anche noi uscire dalla logica del «troppo grandi per fallire». Difficile poi, dopo anni di prolungata crisi, ipotizzare strategie a costo zero. Certo il sistema bancario italiano non ha dato vita agli eccessi anglosassoni, ma non fa ugualmente parte del problema piuttosto che della soluzione? Il debito non solo è insostenibile, ma è anche ragione delle controriforme che subiamo da anni. Riforme di cui hanno goduto tutti i principali attori del vigente sistema finanziario e produttivo. Da questo punto di vista il problema non è se ristrutturare e ripudiare una parte del debito, ma quando e come. Il problema che si pone, dunque, è politico ed economico insieme.

La vittoria di una formazione che in Grecia contesta la legittimità del proprio debito sovrano deve diventare un’occasione per tutti i paesi che del proprio debito sono vittime. La speranza è che Syriza vada oltre la sua attuale proposta di ridurre del 50% il debito in accordo con i creditori e che ascolti la voce di quei movimenti sociali che reclamano a gran voce e da tempo un audit del debito greco, allo scopo di ripudiare la sua parte illegitima, alla stregua dell’esempio dell’Ecuador. Che non si replichi la falsa ristrutturazione del 2010 con la quale i creditori hanno scambiato vecchi bond greci con bond più sicuri. Approcciare la questione del debito in maniera radicale comporta la rimessa in discussione di decenni di economia dominante, così che si possa fare giustizia al popolo greco ed europeo.

* Comitato per l’annullamento del Debito del Terzo Mondo, Bruxelles (www.cadtm.org)