La Bundesrepublik si sgretola pezzo dopo pezzo sotto la pressione dentro e fuori i confini. A rischio, ben più dell’Europa, è la tenuta stessa della socialdemocrazia, assediata dal nemico interno come dagli (ex) alleati Ue che ormai quadrano con Berlino solo sul prolungamento di due anni dei controlli alle frontiere.

Uscita di emergenza

È l’altra «dichiarazione di Magonza» e l’unica exit-strategy della Cdu per scrollarsi di dosso la «politica del benvenuto» della cancelliera Angela Merkel.
Ufficialmente, il partito segue la linea imposta da Mutti che sul no al tetto per i rifugiati non ammette obiezioni. Di fatto, il «piano A2» dei cristiano-democratici è pronto e operativo: già affidato a Julia Klöckner, 43 anni, vice presidente Cdu e in corsa per vincere le elezioni in Renania-Palatinato il 13 marzo. Cattolica, ex insegnante di religione, antiabortista militante, è tra gli astri nascenti del partito. Sarà lei a dover convincere Merkel che l’ondata di profughi ai confini della Germania si può fermare anche senza imporre un limite nazionale agli ingressi. Come? Trasformando le «vecchie» zone di transito alla frontiera in centri di respingimento verso il più vicino «Paese sicuro», grazie alla collaborazione di Slovenia e Croazia. Espulsioni rapide, smaltimento delle pratiche in tempo reale e rimbalzo del problema ai confini dell’Ue come pretende la cancelliera. I controlli si spostano in Turchia, Grecia e Italia, le quote si trattano a livello di Stato «in base alla capacità ricettiva dei singoli Paesi».

Non è la fine di Schengen, ma l’uscita di emergenza dal vicolo cieco imboccato con la Wilkommenpolitik e il solo paracadute alla caduta libera nei sondaggi elettorali che inchiodano Cdu-Csu a quota 32,5% (dato Insa). Soprattutto l’ultima chiamata per ricomporre il partito: la soluzione Klöckner è benedetta dal segretario generale Peter Tauber come da Christian von Stetten e Carsten Linnemann tra i “malpancisti” della minoranza anti-Merkel.

Crepe

Del resto ai confini la pressione è davvero insostenibile. E i calcoli del ministro dell’interno Thomas de Maizière – che conta 200 respingimenti al giorno su 3.000 ingressi – stridono con il numero dei «tornelli» che registrano il transito di 5.500 profughi ogni 24 ore.

Un flusso ingovernabile, anche per le casse federali: ogni rifugiato costa alla Germania mille euro al mese. Il ministro delle finanze Wolfgang Schäuble è costretto a riformulare il budget destinato all’accoglienza nel 2016. Anche i suoi conti sono saltati: 6 miliardi di euro invece dei 3 a bilancio; altri due, al posto di uno, da girare direttamente ai Land esposti all’emergenza.

A partire dalla Baviera dove, in attesa delle nuove norme sull’immigrazione, la Csu «interpreta» la Legge fondamentale, equivalente della Costituzione. «Il diritto di asilo sancito dal Grundegesetz si applica solo a livello individuale e non se a migrare sono interi popoli» riassumono nel quartier generale del partito cristiano-sociale a Monaco, per niente rassegnati alla bocciatura del tetto di 200 mila ingressi all’anno chiesto dal leader Csu Horst Seehofer.

Ma a girare le spalle a Merkel sono per di più gli alleati socialdemocratici che faticano a contenere i militanti. Il sintomo del malessere nella «sinistra di governo» è misurabile con la manifestazione contro la costruzione di un campo-profughi organizzata a Essen da tre circoli Spd. La protesta guidata dal segretario del quartiere Karnap, Stephan Duda, è stata annullata dopo l’intervento di Hannelore Kraft capo nel Nord Reno-Vestfalia, preoccupata per «la reputazione del partito» e per il pericolo di offrire una sponda ad Afd e Npd. Tuttavia lo slogan sinistro («Ora basta: l’integrazione ha un limite») echeggia ancora nei rioni nord della città con il 40% di immigrati e 7.800 richiedenti asilo da sistemare negli Asylheim.

Una bomba a orologeria. Un po’ come il sex-mob di Colonia che si scopre – 24 giorni dopo – è andato in scena in tre quarti del Paese: dai 31 casi in Assia ai 27 in Baviera, dalle 25 denunce nel Baden-Württemberg alle 16 di Brema e Berlino.

Un bel problema per il governo, sempre più isolato anche sul fronte europeo.

Assedio

L’ultimo a lasciare l’inner-circle della cancelliera è stato il suo omologo austriaco Werner Fayman: «Non chiediamo (più) a Berlino» ha fatto sapere il leader socialdemocratico che guida la Koalition bifronte di Vienna, lamentando la «mancanza di consultazione» dei tedeschi e annunciando il mantenimento del tetto di 37.500 ingressi all’anno in Austria, che peraltro verrà raggiunto già a giugno.

Tutto mentre si sgretola l’asse con la Francia – il premier Manuel Valls precisa che le quote «paneuropee non sono la soluzione ma il segnale che non si può accogliere tutti» – e vacilla l’alleanza con il presidente Usa Obama che richiama la Germania ai suoi doveri nella «stabilizzazione delle frontiere Nato a partire dalla Grecia». Cioé a fare i compiti.