I dati climatici diffusi dalla Nasa relativi al mese di febbraio, confermano l’allarmante dinamica del surriscaldamento terrestre in atto e gettano sinistre ombre sulla sostenibilità dell’accordo raggiunto alla Cop 21 di Parigi nel dicembre scorso. Il mese in questione, infatti, non solo è risultato il febbraio più caldo dal 1880, inizio delle rilevazioni globali, ma addirittura quello con lo scostamento più elevato, ben 1,35 gradi, rispetto alla temperatura media del corrispondente mese rilevata nel trentennio 1951-1980, superando nettamente l’effimero record registrato in gennaio con +1,14 gradi.

Tuttavia, è la tendenza degli ultimi mesi a destare grande preoccupazione tanto da spingere Stefan Rahmstorf del Potsdam Institute for Climate Impact Research a dichiarare che «siamo in una sorta di emergenza climatica. La situazione è davvero stupefacente e assolutamente senza precedenti».

Secondo i dati della Nasa siamo in presenza del quinto mese consecutivo in cui la temperatura media supera di un grado quella del trentennio di riferimento, con un trend crescente estremamente preoccupante. I primi due mesi del 2016 sono stati, infatti, preceduti dagli ultimi 3 del 2015 anch’essi con temperature molto oltre la media: ottobre (+1.06 gradi), novembre (+1.03) e dicembre (+1,10). Estendendo l’analisi a tutto il 2015 rileviamo come, sempre in base ai dati forniti dalla Nasa e dall’Agenzia Federale per la Meteorologia (Noaa), siano stati ben 10 i mesi che hanno registrato un record di temperatura media, con le uniche eccezioni di gennaio ed aprile. Nell’arco dell’intero anno la temperatura media terrestre è risultata di un grado superiore a quella del decennio 1880-1889, il primo dall’inizio delle rilevazioni, superando il precedente record del 2014 di 0,14 gradi. Situazione critica, come stigmatizzato dai meteorologi, non solo per il record del 2015, il più caldo degli ultimi 136 anni, ma, soprattutto, per l’inarrestabile trend crescente delle temperature medie mensili.

I valori diffusi dalla Nasa si riferiscono alla media terrestre, omogeneizzando condizioni regionali che in alcune aree del pianeta assumono dimensioni ben più allarmanti. In particolare, secondo uno studio del Politecnico Federale di Zurigo, nell’Artico e nelle aree adiacenti la temperatura avrebbe superato di 2 gradi la media del periodo preindustriale ormai da 15 anni e nel Mediterraneo, negli Usa e in Brasile potrebbe raggiungere questa soglia già nel 2030. Aggiungendo come un aumento della temperatura media terrestre di 2 gradi si concretizzerebbe con incrementi fino a 6 gradi in alcune zone del pianeta, soprattutto quelle a maggior densità di popolazione.

Appare chiaro come, alla luce di queste ricerche, gli Accordi di Parigi mostrino limiti ancor più evidenti rispetto a quelli denunciati, non solo dagli ambientalisti, all’indomani della chiusura della Cop 21. Se forti perplessità erano state sollevate rispetto alla mancanza di controlli e alle modalità di contenimento delle emissioni, nonché sui tempi lunghi di verifica, la prima delle quali nel 2023, particolarmente critico appare il rispetto del limite di 1,5-2 gradi di aumento della temperatura media terrestre entro il 2050. Considerando l’inerzia atmosferica, anche procedendo a una ipotetico immediato blocco degli incrementi delle emissioni di gas serra, in base ai dati di febbraio, gli obiettivi di Parigi potrebbero essere sforati già nell’arco di qualche lustro.

Agli scettici che hanno obiettato come il record del 2015 sia stato influenzato da un evento straordinario come El Niño, ha replicato il Segretario generale dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, Petteri Taalas. In sede di commento del Provisional Statement on the Status of the Climate Change ha fugato ogni dubbio affermando che «gli effetti del Niño svaniranno nei prossimi mesi, mentre quelli dei cambiamenti climatici indotti dall’uomo resteranno con noi per molti decenni».

A conferma della matrice antropica delle cause alla base del fenomeno giungono i valori relativi alla concentrazione media di C02 nell’atmosfera che continua inesorabilmente ad aumentare con un ritmo mai registrato in centinaia di migliaia di anni, arrivando a sfondare nel mese di febbraio, per la prima volta il muro delle 400 parti per milione. Il valore record di 402,54 parti di Co2 per milione è accompagnato da una serie di primati negativi mai rilevati in precedenza: la contrazione negli ultimi 50 del 30% della superficie dei ghiacciai alpini rilevata dal Catasto dei ghiacciai, l’estensione del ghiaccio marino artico ridotta per la prima volta nel mese di febbraio a soli 14,22 milioni di km2, l’accelerazione dell’innalzamento, entrambi secondo la Nasa, del livello degli oceani di 8 centimetri negli ultimi 20 anni, rispetto ai 12 degli 8 decenni precedenti e la drammatica siccità che sta colpendo l’Etiopia, la più grave degli ultimi 30 anni. Solo per citare alcuni dei fenomeni estremi che si stanno verificando a seguito del surriscaldamento globale.
Gli effetti climatico-ambientali risultano devastanti, con sensibile aumento di “bombe d’acqua”, inondazioni, smottamenti, siccità, bolle di calore e ondate di gelo, con pesanti ripercussioni in termini di vittime umane e danni materiali. Oltre alla riduzione delle rese agricole, stimate nell’ordine del 10% per ogni grado di aumento della temperatura media, dobbiamo calcolare i danni provocati alle coltivazioni dai fenomeni meteorologici estremi locali.

Inevitabilmente, il fenomeno dei profughi climatici risulta in continuo aumento: dai 17,5 milioni del 2014, siamo passati ai 20 milioni lo scorso anno e, in base a una previsione dell’Onu, saliranno a 50 milioni nel 2020. Profughi che al momento non godono di alcuna protezione giuridica internazionale ma ai quali, proveniendo in buona percentuale dall’Africa sub-sahariana, dovremmo riservare un’accoglienza particolare visto che le maggiore emissioni di gas climalteranti sono prodotte, oltre che dalla Cina e dagli Usa, dai paesi dell’Unione europea. Persone espulse dalle loro terre che andranno ad aggiungersi ai profughi causati dai numerosi conflitti che lacerano il mondo arabo e che i paesi europei e le istituzioni comunitarie non potranno pensare di arginare erigendo barriere o delegando il problema alla Turchia, volgendo lo sguardo altrove e facendo finta di non vedere il disumano spettacolo che proviene dal campo di Idomeni al confine greco-macedone.

Gli Accordi di Parigi, come detto, rischiano di essere superati dall’accelerazione del surriscaldamento globale chiamando i leader politici mondiali ad assumere provvedimenti efficaci in tempi ristretti nel merito di una effettiva e vincolante riduzione delle emissione dei gas climalteranti, senza aspettare i tempi, non consoni, prefissati nell’ambito della Cop 21.

Decisioni che debbono inevitabilmente prevedere scelte radicali in termini di cambiamento di modello energetico, liberandoci definitivamente dalla dipendenza dalle energie fossili e avviando la transizione ecologica dell’economia col fine ultimo di uscire dall’illusione del perseguimento della crescita continua che ha mostrato, oggi più che mai, tutti i suoi limiti. Anzi, essendo essa stessa la causa delle tre crisi epocali (economica, sociale e ambientale) nelle quali l’umanità è ormai impantanata, senza riuscire a scorgere, al di là delle dichiarazioni dei politici e delle lobbies economico-finanziarie, l’improbabile via d’uscita.

Il referendum sulle trivellazione del 17 aprile rappresenta per il popolo italiano un’occasione da non perdere per inviare, ai potentati economici e ai loro referenti politici, il messaggio chiaro e inequivocabile che non si tratta solo di salvaguardare il patrimonio costiero e marino nazionale ma che la civiltà dei consumi, della crescita e delle devastazioni ambientali è giunta al tramonto e che dobbiamo necessariamente imboccare la grande transizione per fondare, col contributo di tutti, una società diversa in cui a crescere siano nuove realtà produttive, il rispetto dell’ambiente e l’equità sociale.

* Gruppo Insegnanti di Geografia Autorganizzati (Giga)