Ha il numero d’ordine 002, il secondo dell’etichetta discografica il manifesto, l’album Changes di Roberto Ciotti, il nostro blues brother preferito, pubblicato nel 1996. Fu una scoperta strabiliante per i lettori, gli appassionati di blues e i semplici cultori della buona musica (e vendette oltre ventimila copie). Ciotti, uno dei chitarristi tecnicamente più preparati in circolazione, aveva già una prestigiosa carriera alle spalle, appena reduce da un tour americano con Ginger Baker, e arrivò nelle stanze di via Tomacelli insieme con Marco Tiriemmi, altro maniaco delle 12 battute, di Robert Johnson e Muddy Waters, gli idoli di entrambi. Tiriemmi gestiva il Big Mama, la casa del blues capitolino, il locale di Trastevere dove noi della redazione facemmo almeno un paio di feste di compleanno del quotidiano, negli anni novanta, quelle feste che celebravano l’anniversario della fondazione, il 28 aprile 1971. In una, affollatissima e fumosissima, allegra per i buoni risultati elettorali, quella datata 1996, per i 25 anni del manifesto, Ciotti suonò a più riprese, incantando l’uditorio con i suoi brani da Underground a Rolls Royce, passando per King of Nothing, colonna sonora di Marrakesh Express di Gabriele Salvatores, e Treat me right ma soprattutto quelli che ancora non lo conoscevano si spellarono le mani per il finale, una lunghissima versione di Hey Joe (di Jimi Hendrix).

Con la nostra etichetta pubblicò altri due cd, Walking nel 1999 e Behind the door nel 2002, subì la perdita dell’amata moglie Odette e continuò a seguire quella sua strada musicale personalissima, avvicinandosi molto alle sonorità e atmosfere latine. Poi, nel maggio 2012, venne invitato al festival jazz di St. Louis, in Senegal dove ottenne un gran successo e nei giorni successivi a Dakar si esibì in alcuni apprezzati concerti, con jam session insieme ad alcuni musicisti locali (terminata alle 2 di notte!) che gli fecero una buona impressione.

È tornato poi a suonare nel paese di Youssou Ndour per la settimana della cultura italiana e ha messo le basi per la registrazione di un album live, coi suoi amici musicisti senegalesi. Ha registrato numerosi provini e accarezzava l’idea di tornare al più presto a registrare nel vecchio continente prima che la malattia lo aggredisse…. «il mio è stato un istinto, un semplice accadimento, una necessità. Non avrei potuto fare altro» (scrive nella sua autobiografia Unplugged, una vita senza fili, edita da Castelvecchi nel 2007).