«Cracking» è la storia di un uomo arrampicato in cima a una ciminiera. Si chiama Celeste Vanni, ha poco più di sessant’anni, e in quella fabbrica affacciata sulla Laguna di Venezia, all’interno del polo petrolchimico di Porto Marghera, ci ha lavorato per quasi quaranta, prima di andare in pensione. Se sale sulla «torcia», come la chiama, è «per fare qualcosa per i suoi vecchi compagni», qualcosa «di forte, provocatorio».

Celeste Vanni è il protagonista e il narratore dell’ultimo libro di Gianfranco Bettin (Mondadori, 2019, 17 euro): scrittore, saggista, a Marghera Bettin è nato, e oggi è presidente della Municipalità, una della sei circoscrizioni del Comune di Venezia.

Celeste e Gianfranco sono quasi coetanei, nati tra l’inizio e la metà degli anni Cinquanta e cresciuti nella cittadina operaia: è senz’altro grazie alla propria storia che l’autore – ambientalista, tra i fondatori dei Verdi in Italia – può ricostruire la vita e la socialità di Marghera (i bar, i quartieri, le manifestazioni operaire degli anni Settanta), rendendo «vivo» un contesto che per la maggioranza degli italiani è solo sinonimo di «industria» e «inquinamento» alle porte di Venezia.

Eppure Marghera non è soltanto il «Sito di Bonifica di Interesse Nazionale (SIN) di Venezia – Porto Marghera», perimetrato nel 2002, che occupa un’area di circa 5.730 ettari, «di cui circa 3.017 ettari di aree a terra, 513 ettari di canali e 2200 ettari di aree lagunari» come ricorda il portale della Regione Veneto. 
Porto Marghera è un crimine in tempo di pace, citando un saggio curato da Bettin alla fine degli anni Novanta («Petrolkimiko. Le voci e le storie di un crimine di pace», Baldini & Castoldi) che torna sempre uguale a se stesso. 
Celeste Vanni sale sulla ciminiera nel gennaio del 2014. In quel mese, Legambiente presentò un dossier sulla bonifica dei SIN italiani, in cui si evidenziava come i lavori a Marghera avanzassero a rilento: «La vulnerabilità del sistema lagunare […] rende particolarmente preoccupanti gli apporti di inquinanti che continuano ad accumularsi nelle acque».

Rimasto vedovo, Celeste sulla ciminiera ripercorre la propria vita, la sua storia di marginalità, la morta del padre (operaio all’interno del polo) quando lui aveva solo 8 anni, per silicosi, il legame giovanile con la criminalità locale, l’incontro con l’amore della sua vita, Rosi, la passione condivisa per montagna (il monte Civetta, sulle Dolomiti, ben in vista da Marghera nelle giornate terse), il lavoro in fabbrica. Nella primavera del 2014, l’«Osservatorio Porto Marghera» dava conto dell’emersione di un fenomeno, legato alla green economy: «Negli ultimi tempi, il riavvio della discussione in merito al futuro del polo industriale […] ha evidenziato la necessità di promuovere processi di sviluppo e di riconversione industriale anche considerando le opportunità offerte […] dalla chimica verde e dalla produzione di energia da fonti rinnovabili».

Nel gennaio del 2020, però, Eni – titolare della bioraffineria di Marghera – è stata multata dall’Antitrust perché lo spot che presenta il carburante «Enidiesel+» – che sarebbe «verde» e rinnovabile, è ingannevole. E si torna ai primi anni Settanta: «Ho incominciato ai reparti cv 14-16. “Cv” significa cloruro di vinile – racconta Celeste -. Il cloruro di vinile serviva a produrre il cvm (cloruro di vinile monomero) e il pvc (polivinilcloruro) che serviva a fabbricare un sacco di cose. Tipo i dischi, i vecchi lp, quelli di cui ti piace tanto il suono…. O le tapparelle. O lo skai, per poltrone, valigie, borse eccetera. E il linoleum. Le bottiglie per l’acqua minerale. Le tubature. L’odore del cvm era ovunque». Il cloruro di vinile era altamente tossico, e tanti operai han pagato con la vita. Per questo, quarant’anni dopo, Celeste Vanni è sulla «torcia». Immagina «un gran bel cracking», come si chiama il cuore del petrolchimico, il nucleo centrale delle attività industriali: l’impianto che scompone. «Scomporre tutto, pensa [Celeste], ricondurre le cose a se stesse, più leggere, liberandone

i nuclei, materia vivente e inanimata, gli elementi selvaggi di cui anche noi siamo fatti: l’idrogeno, l’ossigeno, il carbonio».