«Non c’è tetto per il dollaro»: in poco più di tre mesi il Peso argentino ha perso la metà del suo valore rispetto alla moneta Usa. «Tarifazo» salgono i prezzi del carburante e dei generi di prima necessità. «Sospensione nella vendita di alimenti» per agganciare i prezzi al dollaro che corre verso l’alto. La società argentina ha reagito ieri nel «solito» modo alle dichiarazioni e misure adottate dal presidente Mauricio Macri per far fronte alla nuova crisi: con sfiducia a paura per il futuro immediato.

IN UN MESSAGGIO ALLA NAZIONE in tv il presidente ci «ha messo la faccia»: ha annunciato che verrà accelerato il prestito di 50 miliardi di dollari deciso dal Fmi e che sono state varate le misure per far fronte alla crisi: economiche e fiscali per «ottenere deficit zero entro l’anno prossimo»; per fare del lavoro la base dello sviluppo del paese; per eliminare la corruzione. Il ministro delle aziende, Nicolás Dujovne – partito ieri sera alla volta degli Usa per riprendere le trattative col Fmi – ha precisato che tra tagli e accorpamenti verranno eliminati dieci ministeri, riducendo alla metà il governo e iniziando una riduzione delle spese per dar fiducia agli investori esteri. È stato anche deciso di imporre un’imposta del 10% alle esportazioni e tagli degli investimenti (del 0,7 % del Pil) e dei sussidi (del 0,5 %), con l’obiettivo di portare il deficit dall’attuale 1,3 % del Pil a «quota zero» entro il 2019. «Questa crisi deve essere l’ultima» è stata la conclusione del messaggio televisivo di Macri.

SOLO CHE BEN POCHI in Argentina gli credono. Tanto che la maggioranza dei suoi concittadini – che ricordano bene la grande crisi di inizio di questo secolo e non si fidano- non gli ha dato ascolto e ha reagito con paura. È continuata la «carrera cambiaria»: Il dollaro – bene rifugio storico- è salito a quota 42 pesos (due giorni fa era a 39, 4 mesi fa era a 20 ) con la gente che si fa fotografare di fronte alle case di cambio che portano scritta la catastrofe della moneta argentina.

«LA RISPOSTA DEL GOVERNO -su imposizione del Fmi – è sempre la stessa: tagli e inflazione» sostiene l’economista (Economia Femini(s)ta) Mercedes D’Alessandro. I tassi di interesse sono saliti al 60% -ma per le Pmi sfiorano il 100%, peggio che nell’odiato (da Macri) Venezuela – l’inflazione è al 40%. Con conseguenze immediate: «Pura recessione», afferma l’analista (New York Times), Martín Caparrós.

Una forte siccità che ha messo in ginocchio l’agricoltura del paese rende ancor più drammatica la situazione. E incrementa quella che per la gran parte degli economisti è il fattore più preoccupante: la sfiducia nel governo e nel sistema paese.

LA CRISI ERA ANNUNCIATA, come sostiene l’economista Martin Kalos – in aprile i prezzi salivano per i prodotti di base e nei servizi pubblici e sempre più argentini temevano di non arrivare alla fine del mese – ma il governo di Macri insisteva che non vi era da preoccuparsi.
Per questo non ha attuato interventi strutturali – la struttura produttiva dell’Argentina «necessita dollari, se non li ottiene con l’esportazione entra in crisi»- ma ha preso la situazione internazionale sfavorevole come «scusante per giusticare l’incapacità del governo». Ha trattato un intervento del Fmi. Ma il dollaro «eterno rifugio, ma anche eterna minaccia per gli argentini» è uscito da ogni controllo.

«LO CHIAMANO DEFICIT FISCALE: lo Stato argentino spende molto di più di quello che ha e anche così non mantiene i suoi obblighi» afferma Caparrós: non fornisce un buon sistema di salute educazione e pubblica, nè sicurezza e infrastrutture. «Lo Stato argentino solo funziona come un sistema per ripartire prebende e elemosine». Un sistema perfettamente «inefficace per ridurre seriamente la povertà e per creare impieghi»; ma perfetto «per mantenere l’Argentina dipendente da un sistema clientelare dei governi». Una situazione che Macri ha in buona parte ereditato dai precedenti governi peronisti. Ma che aveva promesso di cambiare e per questo aveva ottenuto un buon sostegno nelle presidenziali e lo scorso dicembre nelle elezioni politiche.

IL SUO TASSO DI GRADIMENTO popolare era del 60% e sembrava lanciato come una locomotiva a vincere le elezioni presidenziali dell’anno prossimo. Oggi la popolarità di Macri è ridotta della metà con i sindacati che minacciano – e già hanno iniziato- una durissima risposta alle misure del governo che riducono il potere d’acquisto della popolazione e tagliano spese e posti di lavoro; con un movimento delle donne sempre più impegnato nella battaglia per l’aborto libero e gratuito; con i peronisti inferociti per la messa sotto accusa dell’ex presidentessa Cristina de Kirchner e pronti a rialzare la testa.

«Non vi è entità più odiata in Argentina del Fmi: la maggioranza dei cittadini è convinta –con buoni argomenti- che (con le sue ricette) sia responsabile delle peggiori crisi», scrive Caparrós. Che ha pochi dubbi: le conseguenze politiche per il presidente Macri sono infauste.