A sinistra, dove la creatività è infinita, c’è chi ha lanciato l’idea assurda di un astensionismo critico o di una scheda bianca in un referendum costituzionale che non prevede alcun quorum. Ci sono però schede bianche e schede bianche. Quella annunciata da Fabrizio Barca somiglia molto all’esito di una argomentazione acrobatica: non partecipare alla battaglia per conservare le aspettative di una possibile ricomposizione. Quella evocata da Emanuele Macaluso è invece la conseguenza di un gesto di sofferta rottura che merita alcune considerazioni.

La riforma costituzionale è stata più volte raffigurata da Renzi e da Boschi come la riforma di Napolitano. Con il rifiuto di Macaluso di votarla nel referendum si lancia un segnale pesante di dissenso. Il testo, la cui paternità viene dal governo ricondotta strumentalmente al presidente emerito, non raccoglie neanche il consenso del politico a lui più vicino per una antica consuetudine ideale.

Del resto, dopo gli interventi nitidi di Alfredo Reichlin a supporto del no, le acque di ciò che rimaneva della tradizione comunista si sono agitate di molto. Che tutti gli intellettuali marxisti degli anni settanta (ad eccezione di Alberto Asor Rosa) siano schierati per il sì al quesito populista non stupisce. L’egemonia marxista poggiava su fragili basi di conformismo e gli intellettuali entrati nel Pci dopo il ’68 orientavano il loro pensiero secondo il vento passeggero delle mode. Già nei primi anni ottanta cominciò per molti il precipitoso addio alle armi.

La confluenza dei filosofi comunisti di allora nelle agguerrite schiere della de-formazione costituzionale di oggi ha anche degli appigli nella loro opera. Avevano qualche ragione Amato e Cafagna a prendere di petto le produzioni di De Giovanni e Vacca rimarcandone i tratti di un organicismo refrattario alle libertà negative, al pluralismo dei conflitti, alle garanzie. L’organicismo di una cattiva tradizione comunista può benissimo convivere con il volto arbitrario del renzismo e con le sue velleità di costituzionalizzare il partito della nazione con strappi alla carta ed elargizioni di bonus.

Che un acerrimo nemico della democrazia discutidora, come Massimo Cacciari, oggi non trovi nulla di strano nel votare a favore di una riforma che egli stesso giudica una immensa schifezza non desta scandalo: nella sterilità assiologica che condisce le varianti del nichilismo politico-giuridico ogni decidere qualcosa conta più della qualità della decisione.

Il conformismo dei chierici non è però una novità nella cultura italiana. Invece poco comprensibile era l’oscillazione dei politici comunisti eredi della grande lezione costituzionale di Togliatti e quindi poco inclini alle chiacchiere sulla democrazia decidente. Con Tortorella e Reichlin non c’è stata esitazione a prendere la giusta posizione in un conflitto che comunque muterà l’ossatura della repubblica. Ora anche Macaluso recupera un filo rosso della cultura costituzionale del Pci (ma anche dei partiti storici oggi riesumati da De Mita e da Formica) e nega il sostegno a un plebiscito manipolatorio e quindi profondamente illiberale.

Gli scritti incalzanti di Reichlin e i dubbi onesti di Macaluso su un plebiscito che sfigurerà la repubblica non possono non turbare la coscienza politica di Napolitano. Le categorie politiche e le preferenze nei modelli istituzionali risalgono a un medesimo ceppo, da cui non possono che scaturire anche gli stessi angoscianti interrogativi sul senso stesso di un referendum personalizzato come avventura irresponsabile entro una democrazia occidentale.

In un quadro di torsione plebiscitaria della consultazione le carezze di Renzi e Boschi sono urticanti per il capo dello Stato emerito perché cercano di tramutarlo maldestramente nel Coty italiano, con la differenza che mentre il presidente francese concedeva la carrozza del commissario al generale di Lilla a lui tocca consegnarla al caporale di Rignano.

Perciò Napolitano lamenta a ragione gli eccessi della personalizzazione dello scontro referendario. Ma proprio la personalizzazione della contesa è l’essenza della fuga plebiscitaria di un capo di governo che maledice le procedure e insegue l’unzione mistica del popolo. Alle prove di democrazia plebiscitaria un cittadino libero risponde necessariamente con il no, a prescindere dagli stessi contenuti tecnici della riforma. Che la scheda bianca di Macaluso prefiguri un’altra e clamorosa censura dell’avventurismo del mediocre potere toscano?