Se esistono grandi incertezze sugli effettivi margini di manovra a disposizione del nuovo presidente del Perù Pedro Castillo, il suo discorso di insediamento dinanzi al Congresso ha messo perlomeno bene in chiaro da quale lato intende schierarsi.

Il primo presidente contadino della storia del paese ha iniziato con un saluto ai popoli originari, agli afroperuviani, alle minoranze escluse dei campi e delle città. E ha proseguito ricordando i danni dell’era coloniale, l’illusorietà di un’indipendenza che «non ha significato un miglioramento reale» per le grandi maggioranze e la triste successione di governi che «hanno defraudato la popolazione».

Questa volta, ha dichiarato, «un governo del popolo è arrivato per governare insieme al popolo e per il popolo», per costruire un nuovo paese «dal basso verso l’alto».

«Voglio che sappiate che l’orgoglio e il dolore del Perù profondo scorrono nelle mie vene, che io anche sono figlio di questo paese fondato sul sudore dei miei antenati». Castillo, che si è impegnato a cedere il Palazzo di governo, simbolo di dominazione coloniale, al ribattezzato ministero delle Culture – al plurale e non più al singolare – perché ne faccia un museo; ha quindi indicato gli obiettivi centrali del suo governo, dagli interventi di emergenza per la salute e per lotta anti-Covid-19 fino al sostegno alle famiglie rurali, ai piani di finanziamento per piccoli e medi imprenditori, a interventi a favore dell’educazione e di un’industria mineraria rispettosa della Madre Terra.

Né poteva mancare il richiamo alla promessa chiave della sua campagna elettorale, quella della convocazione di un’Assemblea costituente: il progetto più ambizioso della sua presidenza, ma anche quello di più difficile realizzazione, richiedendo l’approvazione della maggioranza del Congresso.