La procura di Roma ha aperto un fascicolo sul professor Paolo Arbarello, il perito dell’accusa che attribuì la responsabilità della morte di Stefano Cucchi ai medici dell’ospedale Sandro Pertini. La decisione è stata presa ieri dal procuratore Giuseppe Pignatone in seguito all’esposto contro Arbarello presentato nei giorni scorsi dalla famigli del trentunenne geometra romano morto una settimana dopo essere stato arrestato per possesso di droga. Pignatone, che seguirà gli accertamenti, ieri ha di nuovo incontrato in procura la sorella di Stefano, Ilaria, accompagnata dal legale della famiglia, l’avvocato Fabio Anselmo. Al momento non risultano indagati né ipotesi di reato.
La decisione presa ieri dalla procura capitolina non significa che le indagini sulla morte di Stefano Cucchi verranno riaperte, questione che potrà essere discussa solo dopo la lettura delle motivazioni della sentenza di appello che ha assolto tutti gli imputati. Per la famiglia Cucchi Arbarello avrebbe in qualche modo condizionato le indagini anticipando, «ancor prima di qualsiasi attività di studio e valutazione, che sarebbe stata riconosciuta una responsabilità dei sanitari» del Pertini, escludendo così come causa della morte le lesioni riscontrate sul corpo del giovane geometra. «Il professor Arbarello – ha spiegato nei giorni scorsi Ilaria Cucchi – aveva detto intervistato da Canale 5 che il suo compito sarebbe stato quello di dimostrare la totale responsabilità dei medici, e questo ancora prima di iniziare le operazioni peritali».
Da parte sua Arbarello, ex direttore del Dipartimento di medicina legale della Sapienza, ha querelato Ilaria Cucchi e ribadito la validità della perizia presentata a suo tempo ai pm romani. «Lo abbiamo scritto e ripetuto più volte: ci sono lesioni che sono sospette. Ma noi non siamo in condizione di dire se qualcuno gli ha sbattuto la testa contro il muro facendolo cadere o se invece ha fatto tutto da solo», ha spiegato.
Una versione contestata dall’avvocato Anselmo, convinto che le pessime condizioni di salute in cui si trovava Stefano prima di morire siano proprio una conseguenza del pestaggio subìto dal giovane dopo essere stato arrestato. «Gli elementi della perizia contestati sono diversi e tra loro connessi, ma uno prevale su tutti: il catetere», ha spiegato ieri il legale. «A Stefano viene inserito perché aveva riferito ai medici di non poter urinare autonomamente, mentre i medici hanno riferito di averlo utilizzato per comodità – ha proseguito Anselmo -. In realtà Stefano aveva una lesione alla regione sacrale che gli ha provocato l’impossibilità di urinare ed è per questo che gli venne inserito il catetere, tanto che appena inserito uscirono 440 cc di urina». In seguito il catetere si ostruì provocando una lesione al globo vescicale che venne trovato con un litro e mezzo di liquido all’interno. «Stefano non riusciva a urinare a causa della lesione alla regione sacrale, dovuta probabilmente alle botte, e per questo è stato inserito il catetere, ma in aula è stato detto che invece era stato utilizzato per comodità. Non può essere», ha concluso il legale. «A noi non interessa un colpevole ad ogni costo. A noi interessa che il caso Cucchi venga trattato come un omicidio preterintenzionale, perché questo è un caso di omicidio preterintenzionale. Poi è fisiologico che in un processo gli imputati possano o meno essere condannati, ma i presunti autori di un pestaggio non possono essere processati per il reato di lesioni lievi colpose».
Nell’esposto contro Arbarello, la famiglia Cucchi ricorda anche come da alcune intercettazioni telefoniche emerga che «in corrispondenza delle singole riunioni medico legali, i consulenti di parte degli agenti penitenziari ricevevano in qualche modo delle rassicurazioni sul fatto che sarebbe stata riconosciuta una ‘morte naturalè di Stefano indipendentemente dalle lesioni subite».
Continuano intanto le manifestazioni per chiedere giustizia per la morte di Stefano. Per oggi pomeriggio alle 17, davanti alla sede del Csm, è prevista una fiaccolata promossa dalla famiglia Cucchi insieme ad Acab, l’Associazione contro gli abusi in divisa alla quale hanno aderito numerose associazioni e cittadini.