«Questa è una storia dell’orrore» ripete più volte Jamie Conklin, il protagonista di Later, «Dopo» (Sperling&Kupfer, pp. 304, euro 19.90, traduzione di Luca Briasco). È giovanissimo, poco più di vent’anni, ma la «storia dell’orrore» che racconta in prima persona risale a qualche anno prima, all’infanzia e al momento cruciale del passaggio all’adolescenza. Essendo l’autore del romanzo Stephen King, il chiarimento può sembrare pleonastico: cos’altro dovrebbe essere una vicenda inventata dallo scrittore universalmente noto come «il re dell’horror» se non una storia dell’orrore? Invece l’insistenza di Jamie e, attraverso la sua voce, dello stesso autore, ha senso perché Later fa parte di una specie di serie che non dovrebbe essere horror.

NEL 2004 DUE EDITORI intraprendenti decisero di lanciare una collana, Hard Case Crime, per rivitalizzare il genere pulp degli anni ’40 e ’50. Storie di omicidi, non di mostri sovrannaturali, con la ripubblicazione di grandi autori come Donald Westlake o Mickey Spillane ma aggiungendo anche nuovi titoli e copertine rigorosamente nello stile dell’epoca, colori forti, ragazze scollacciate a gogò. Chiesero a King una frasetta pubblicitaria per favorire il lancio. Si sentirono rispondere che l’autore avrebbe preferito scrivere direttamente un romanzo inedito per loro invece che il suo editore abituale, Schuster&Schuster.

Stephen King

Colorado Kid era effettivamente una storia hard crime, anche se l’autore trovò il modo di usarla non solo per cimentarsi in un genere che sino a quel momento non aveva mai frequentato, ma anche per descrivere le relazioni di un piccola città sull’oceano, di quelle dove tutti si conoscono e i segreti restano tali.

NEL SECONDO LIBRO firmato da King per la Hard Case Crime nel 2013, Joyland, una punta di horror c’è ma solo decorativa e di nuovo King sfrutta l’occasione non solo per tornare su uno dei suoi temi cardine, la necessità di fronteggiare sconfitte e delusioni per crescere, ma anche per descrivere, con una punta acuminata di rimpianto, il mondo dei Luna Park e delle Fiere mobili, ancora attivi all’epoca in cui si svolge la vicenda, nei primi anni ’70. Ma a parte la comparsa peraltro non determinante di uno spettro inquieto, anche questa è una vicenda di crimini e delitti.

Later invece è puro horror anche se condito con pizzichi di crime e declinato in tinte forti come d’obbligo nel pulp. «La mia idea è raccontare una buona storia, e se traversa i confini e non si adatta a nessun genere particolare va benissimo», spiega l’autore. Il suo ultimo romanzo è una ottima storia, di quelle che ti tengono avvinghiato. È una vicenda horror che per molti versi riprende il suo racconto forse più famoso, A volte ritornano. Ma è anche l’escursione in una realtà che lo scrittore del Maine ha bazzicato poco e descritto ancora meno, New York, quanto di più distante dalle piccole città immaginarie solo nel nome in cui King ha ambientato la stragrande maggioranza dei suoi romanzi. Non è escluso che, quando ripete che quella di Jamie è una storia dell’orrore, lo scrittore alluda anche alla sua visione della Grande Mela.

«LATER» È ANCHE l’ennesima istantanea di un universo, quello del mercato editoriale, del quale King invece ha scritto spesso. Stavolta lo prende dall’angolazione degli agenti letterari e abbonda in ironia al vetriolo. L’idea iniziale del romanzo era proprio quella di un’agente che si ritrova con lo scrittore di best seller morto subito prima di scrivere l’ultimo, attesissimo volume di una saga ricalcata sul Games of Thrones di George Martin. Il capitolo finale dovrebbe svelare tutti i misteri lasciati in sospeso negli episodi precedenti ma il defunto si è portato nella tomba le risposte senza lasciare nemmeno un appunto e per colmare la misura l’agente si è già spesa il cospicuo anticipo.

L’agente letteraria in questione è la madre single di Jamie, figlio di padre ignoto cresciuto in una metropoli dove l’orrore reale, quello comune e per niente sovrannaturale, è all’ordine del giorno ma con fattezze tutte diverse da quelle che assume nelle abituali small town di King. Nelle città come Derry o Castle Rock le cose, le posizioni sociali, i rapporti interpersonali non cambiano facilmente. Jamie, la cui infanzia è già segnata non solo dall’assenza del padre ma anche dal segreto che lo circonda, vive invece nella metropoli come sulle montagne russe: una realtà in cui si può precipitare, sia materialmente che affettivamente, da un momento all’altro. Abita nella zona più ricca della città, in Park Avenue: finché la crisi non lo scaraventa in una situazione opposta. Si affeziona alla fidanzata della madre, una poliziotta appena un po’ ambigua: finché la tossicodipendenza non la trasforma in una gelida arpia.

Jamie ha un dono. Come il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni vede i morti. A differenza di Ricciardi può parlarci e interrogarli, e i trapassati non possono mentirgli. Doni del genere hanno sempre il cartellino del prezzo attaccato, anche quando non lo si vede. Le verità dei morti salvano un paio di carriere e molte vite ma costringono anche il protagonista ad affrontare in un confronto quasi fisico ombre e paure, solo per scoprire che nessuna vittoria, nemmeno la più difficile e sofferta, è mai definitiva. L’ultima verità svelatagli dai morti, quella con cui Jamie dovrà continuare a misurarsi per sempre, anche dopo la fine della sua spettrale avventura e del libro, è la più sconvolgente di tutte.

Later non è uno dei grandi romanzi di Stephen King, come It o il recente L’istituto. Ma nel panorama della letteratura americana moderna lo scrittore del Maine occupa un posto specifico. È quello che più di ogni altro privilegia e padroneggia la capacità di raccontare. I suoi temi profondi e persino il realismo in cui eccelle sono sempre subordinati alle necessità del racconto. Anche lui è, a modo suo, un autore che ama sperimentare: non però sulla lingua, come ormai tutti o quasi, ma sempre e solo sulle dinamiche della narrazione. E ancor più dei titoli più ambiziosi e importanti nella sua sterminata produzione sono forse i libri minori come questo a svelare quanta maestria Stephen King abbia raggiunto nel padroneggiare la tutt’altro che semplice arte del saper raccontare un storia.