Affidare la presidenza di una Convenzione anticostituzionale, che deve riscrivere da capo la Costituzione italiana, al più noto tra gli avversari della vecchia Carta, può sembrare una scelta logica ed è certo coerente. Ma sarebbe una scelta eccessiva secondo un numero crescente di alleati di Silvio Berlusconi, alleati al governo che però non lo vogliono alla guida dello strumento proposto dai «saggi» di Napolitano e ripreso da Enrico Letta per «tenere al riparo le riforme dalle tensioni politiche». Anche per questo scopo, in effetti, il Cavaliere non sembra perfetto. Ieri altri due esponenti del partito democratico hanno detto no a Berlusconi. Un vice ministro fresco di nomina, Stefano Fassina, «giovane turco», e il sindaco di Firenze Matteo Renzi che pure in questi anni ha scalato i gradini della fama politica togliendosi di dosso ogni traccia di anti berlusconismo (operazione perfettamente riuscita).
Per la presidenza della Convenzione, secondo Fassina, bisognerebbe trovare «una figura in grado di dare garanzie a tutte le forze politiche rappresentate in parlamento. Temo che il senatore Berlusconi non sia fra questi». «Pensare di fare Berlusconi capo della costituente – ha aggiunto in perfetta sintonia Renzi – è inaudito e non capisco perché dobbiamo dargli il compito di scrivere la Costituzione per i prossimi cinquant’anni».
In realtà se non l’ha scritta, Silvio Berlusconi la Costituzione italiana l’ha almeno pubblicata, in mille copie di pregio e significativamente all’interno della collana «La biblioteca dell’Utopia», direttore Dell’Utri. Ma erano i primi mesi del 1994, praticamente il suo debutto in politica. Poco dopo scelse come ministro delle riforme del suo primo governo il leghista texano Speroni e tutto fu più chiaro. Eppure vent’anni dopo, con in mezzo il non decente incidente della bicamerale, il partito democratico ritenta la carta delle grandi riforme istituzionali per agganciare il Cavaliere, stavolta al governo Letta. E non è tanto questione di presidenza o meno della Convenzione, dove in ogni caso Berlusconi siederà e peserà. Anzi, il Cavaliere ha in realtà poco interesse a guidare una commissione che preferirà minacciare di morte ogni qual volta dovesse tornargli utile. La sua auto candidatura serve come al solito ad alzare il prezzo della trattativa. Al punto in cui siamo la cosa più difficile sarà allora trovare una via d’uscita che consenta a Berlusconi una retromarcia presentabile, e dunque è tra gli uomini a lui più vicini che bisogna cercare il futuro presidente. Ormai è pacifico che toccherà a un esponente del centrodestra, o al massimo al leghista Castelli. Tanto che il plotone dei dichiaratori del Pdl ieri ha reagito al doppio no di Renzi e Fassina rivendicando solo il principio che non possono esserci veti per nessuno.

Il paradosso è che Berlusconi avrebbe qualche titolo in più di altri a presiedere una commissione come quella che si immagina, per riscrivere cioè da capo la Carta del ’48, anche rispetto alla campagna elettorale. Il Cavaliere infatti ha esplicitamente chiesto i voti per cambiare, preferibilmente da solo e «senza compromessi», la Costituzione. Mentre il centrosinistra si è impegnato a difenderla. Inneggiando alla Costituzione «la più bella del mondo» il Pd di Veltroni e poi di Bersani ha fatto manifestazioni contro Berlusconi, e Costituzione alla mano hanno sfilato i giudici. Al contrario il leader del Pdl l’ha definita alternativamente «vecchia» e «sovietica». Chiarendo quasi da subito che la sua intenzione è cambiarla tutta, anche nei principi generali, la prima parte che per pudore anche i più spericolari riformatori tendono a mettere da parte.

Non Berlusconi, che nella confusione delle giravolte opportunistiche – è passato da semipresidenzialista convinto a tifoso del premierato forte, poi è tornato sui suoi passi nel frattempo approvando una riforma diversa e cambiando ogni volta idea sulla legge elettorale – ha tenuto fermi i suoi attcchi alla corte costituzionale, al potere di rinvio delle leggi del presidente della Repubblica, all’«ordine non legittimato dal voto» della magistratura e dunque a tutte le forme di controllo. Prodotto, a sentir lui, di «compromessi cattocomunisti». Che una maggioranza neo democristiana, adesso, è titolata a rivedere. No, non è questione di presidenze.