Facendo ruotare un mappamondo si scovano pochi luoghi in cui gli Stati Uniti non siano intervenuti con armi o denaro o colpi di Stato al fine di installare despoti di fiducia (he’s a son of a bitch, but he’s our son of a bitch). Era l’Amerika col kappa. Ora che gli Stati Uniti sono stati a un passo da subire essi stessi un colpo di mano da parte di un son of a bitch di casa, per un’ironia della storia è stata la Sinistra europea a preoccuparsi per prima della tenuta della democrazia targata Usa.

MA CHE DEMOCRAZIA è quella che si regge su sistemi di voto surreali; che soggiace al ricatto di contributi elettorali milionari; che concede a un Presidente la potestà di perdonare cani e porci ad libitum? Esaminiamo un attimo questa potestà. Trump ha usato il potere di grazia 94 volte, in genere a beneficio di conoscenti e compari condannati (o condannabili) per truffa o corruzione, e ha commutato le pene a 24 altri suoi sodali. Ha anche perdonato quattro mercenari, non corrotti ma assassini: erano in carcere per aver trucidato nel 2007 a Baghdad 17 iracheni inermi e averne ferito altri 20, donne e bambini inclusi; li aveva assoldati una ditta paramilitare, la Blackwater, appartenente al fratello della ricchissima ministra dell’Educazione, Betsy De Vos, sodale di Trump. Il New York Times si è accomiatato dal 2020 con un pezzo intitolato «No ties to Trump? Don’t bet on a pardon» (Nessun legame con Trump? Allora non sperate in un perdono).

LA COSTITUZIONE nordamericana (art. II, sez. 2) investe il Presidente della potestà illimitata di graziare o commutare pene ai condannati per reati federali, estensibile perfino a reati pregressi non ancora emersi: una sorta di «indulgenza plenaria». Anche i papi e i sovrani del ‘700 avevano un potere di grazia illimitato ed è curioso che i Padri fondatori – tutti fieri anti-papisti e repubblicani – non si fossero accorti della incongruenza. Ho lavorato per anni a Filadelfia accanto al venerando edificio che ospita i Federalist Papers (85 saggi in cui è distillata la sagacia dei Padri costituenti), ma non sono riuscito a convincermi della ratio di un tale privilegio. Hamilton lo giustificava così nel saggio n° 74: «Senza guarentigie per chi venisse punito a pene eccessive, la giustizia sarebbe troppo crudele». Hamilton aveva previsto tutto eccetto un Trump alla Casa Bianca.

IL DEATH PENALTY Information Center – uno di quegli istituti che rendono grande l’America – pubblica ricerche sulla pena capitale. Alla solita domanda («La pena di morte è un deterrente contro la violenza?») nove su dieci criminologi rispondono: «No, non ha alcun effetto di deterrenza rispetto al carcere a vita. Anzi, acuisce l’atmosfera di violenza che pervade una società già flagellata dall’uso indiscriminato di armi». Anche il Vaticano si è espresso apertis verbis. Nel Catechismo si legge: «Alla luce del Vangelo, la pena capitale è considerata un attacco alla inviolabilità e alla dignità della persona». Ma i 200 vescovi che guidano gli 80 milioni di cattolici nordamericani (tra cui il neo-presidente Biden e 6 sui 9 membri della Corte Suprema) pensano forse che l’eccezionalismo Usa li solleva dal dovere di catechesi su un tema di vita o di morte come questo? Un amico dell’America abolizionista, già ministro repubblicano e cattolico praticante, ammette di non aver mai sentito a messa tuonare contro la ferocia della pena capitale: «I parroci – mi dice amareggiato – temono di perdere fedeli, visto che gran parte dei cattolici è favorevole alla pena di morte».

L’OPINIONE pubblica, sballottata nella bufera post-elettorale, non ha avuto modo finora di afferrare la logica che si cela dietro la scelta del Presidente di perdonare tanti colpevoli di gravi crimini federali, ma non di commutare la pena a 13 condannati a morte per reati altrettanto federali. Perché l’ha fatto? Perché vuole istillare il principio che – a differenza degli altri reati – i crimini dei «colletti bianchi» sono perdonabili, in modo da precostituire un alone di clemenza a suo favore se mai verrà incriminato, una volta perduta l’immunità. E non è tutto. La decisione del Presidente di riservare le ultime tre esecuzioni, tra cui quella di una donna, subito prima di lasciare la Casa Bianca ha forse una sua «ragione», antica come in una tragedia greca. Ecco le navi degli Achei in partenza per Troia bloccate da una bonaccia, per volere della dea Artemide; solo immolando in Aulide la vergine Ifigenia, figlia di Agamennone, il vento tornerà a gonfiare le vele. Quindi il re è costretto a deporre sua figlia sull’ara sacrificale; ma all’ultimo momento la dea s’impietosisce e fa comparire sull’ara una cerva, che verrà immolata al posto di Ifigenia.

ANCHE TRUMP pretende un sacrificio umano – meglio se una donna – quale gesto ben augurante prima di partire dalla Casa Bianca verso un oscuro destino. Saprà alla fine impietosirsi e salvare almeno lei, o prevarranno gli animal spirits che lo hanno funestato per quattro anni? L’iniezione letale per Lisa Montgomery, Corey Johnson e Dustin Higgs è fissata rispettivamente il 12, il 14 e il 15 gennaio, in pratica alla vigilia della salvezza. Se sarà la legge del taglione a prevalere, il loro caso passerà alla storia come è accaduto per il caso giudiziario di Jean Calas, protestante di Tolosa torturato e giustiziato nel 1762. Fu grazie a Voltaire – non certo al clero francese – che quel caso divenne una cause célèbre e fece avanzare di un passo il cammino verso l’Illuminismo.