Regista di estrema destra e autore di due documentari su Obama e Hillary Clinton infarciti di teorie complottiste e calunnie sui due politici democratici, Dinesh D’Souza era stato condannato a cinque anni di libertà vigilata e a una multa di 30.000 dollari per essersi illegalmente servito di prestanome per finanziare la campagna elettorale di Wendy Long, candidata repubblicana al senato nel 2012.
Donald Trump ha però annunciato ieri su twitter che il suo governo darà la grazia «filmmaker»: «Oggi concederò il perdono completo a Dinesh D’Souza. È stato trattato in modo veramente ingiusto dal nostro governo!» .

Dopo il tweet di Trump, D’Souza si è affrettato a sponsorizzare il suo prossimo progetto – in uscita giusto in tempo per le elezioni di metà mandato: un libro intitolato The Big Lie, «incentrato sul tentativo della sinistra di rappresentare i conservatori come dei nazisti per nascondere il proprio fascismo».
Nel 2012, il suo «documentario» (ma più che altro accozzaglia di teorie deliranti di estrema destra) 2016: Obama’s America era stato definito dalla Casa bianca come «un insidioso e disonesto tentativo di infangare il presidente» – ma aveva comunque stabilito un record al box office, totalizzando più di 33 milioni di dollari, operazione ripetuta contro Hillary Clinton. D’Souza aveva detto di essersi in parte ispirato all’atto d’accusa di Michael Moore contro George W. Bush – Fahrenheit 9/11, del 2004.

Nel frattempo, il regista di Bowling a Columbine ha lasciato intendere, con un post su twitter rivolto al presidente Usa ma anche a Roseanne Barr, di aver ripreso a lavorare a Fahrenheit 11/9: il documentario su Donald Trump annunciato nel 2017 al Festival di Cannes e che aveva subito una battuta d’arresto con il fallimento della Weinstein Company (che ne aveva acquistato i diritti internazionali). «Conosco Roseanne. E conosco Trump – ha scritto Moore – e stanno per rimpiangere il giorno in cui mi hanno conosciuto».