La pregevole personale di Adrian Ghenie The Battle between Carnival and Feast testimonia l’estremo polimorfismo della pittura dei nostri tempi, nonché la sua pantagruelica fame di mondo e dei più disparati ritagli, che la rete incessantemente diffonde. La mostra, ospitata a Venezia fino al 18 novembre presso la Galleria di Palazzo Cini, raccoglie una decina di recenti oli su tela dell’artista rumeno, caratterizzati da un sottile estro barocco, nei quali la figurazione è continuamente in dialogo, o in opposizione, con episodi pittorici di matrice gestuale e aniconica. Le opere, pensate appositamente per gli spazi della dimora veneziana, sono tra gli esempi più intensi e significativi della scuola di Cluj-Napoca. La città transilvana ha infatti dato origine negli ultimi vent’anni a una vera e propria nouvelle vague di artisti che praticano la pittura (con molti riscontri nei musei e nel mercato), di cui Ghenie è tra i nomi più riconosciuti.
La mostra apre con due opere in diretta relazione, alle due pareti opposte di una grande sala all’ultimo piano del palazzo. Figure with Dog, scomposta ma incisiva rappresentazione di una persona con cane sulla riva di un fiume, è infatti collocata di fronte a The Wall, che rappresenta un muro di lamiera arrugginita, di sapore più decisamente astratto. In entrambe, le figure umane – siano esse dichiarate apertamente o sintetizzate in forma elusiva da fluide pennellate colorate – sono lacerti di pittura, quasi pretesti, scuse, volute sviste momentanee o errori ricercati, in cui l’artista è rapito, posseduto e condotto dalla pittura, prima ancora che dalla necessità di rappresentare alcunché. La mimesi, la musa che da millenni seduce e incanta gli artisti, è da Ghenie abbandonata e lasciata perire sugli scogli.
Il continuo rimescolamento visivo di stilemi iconici e aniconici, la presenza di aree di colore talvolta compiutamente gestuali e talaltra parafigurative (con richiami a Hockney, Bacon o Rousseau), fanno delle tele del rumeno un unicum che tiene insieme l’eclettismo postmoderno e il vorticoso rincorrersi delle immagini che caratterizza l’epoca dei social network. In particolare, sia le deformazioni della figura (umana o animale) verso il ripugnante, sia la spiccata ipercineticità che l’immagine possiede, sbattono l’osservatore di fronte all’ansia del vedere ‘veloce’, saltando pindaricamente da un punto all’altro, poiché il tempo dedicato alla contemplazione, in queste opere irrequiete, pare decisamente perso.
Eppure, in questo mondo grottesco che si accartoccia alterandosi, troviamo il senso sublime dell’ironia capace di seppellire, con un ghigno, ogni costruzione dispotica. Ne sono esempio, in una raccolta saletta, tre ritratti senza titolo di biondi uomini scapigliati, la cui grottesca figura ricorda Donald Trump. Immagini che paiono dei mostri dall’anatomia divelta, urticanti e molesti come un video fastidiosamente affetto da un continuo glitch nel flusso visivo. Ma Ghenie, come i comici che possiedono il senso del tragico, prende di mira anche se stesso, con humour nero e senza il benché minimo tentativo di autoassoluzione: eccolo così ritrarsi in Self-Portrait with iPhone e in un inquetante Self-Portrait with Animal Mask, in cui, a elementi del corpo rappresentati realisticamente, accosta segni liberi prodotti da un pennello che ha seguito delle traiettorie completamente ubriache.
Se l’enfasi barocca e il gusto surreale della deformazione sono modalità visive che frequentemente bussano alla porta dell’artista, non mancano nei lavori della mostra opere dal sapore più tragico, come ad esempio The Drowning. La tela mostra una persona in pantaloni corti che annega, nel momento in cui – probabilmente – sta perdendo i sensi. La sua identità è celata da segni e porzioni di colore anomale, mentre qua e là dei pesci tropicali paiono fare bella mostra di sé, tra alghe e mucillagini. È il dipinto psicologicamente più inquietante, caratterizzato da un sapore vagamente cinematografico, che, come scrive Luca Massimo Barbero in catalogo, «rimanda all’assenza d’aria, all’annegamento eterno, all’asfissia, ai corpi galleggianti di eroine di tempi mitici e ai drammi di quel mare Mediterraneo, che ancora conserva nei suoi abissi i corpi che i nostri occhi, i nostri governi e la nostra coscienza fanno finta di non vedere.»
La zuffa o, più probabilmente, la farsa, che Ghenie allestisce per The Battle between Carnival and Feast è in ultima istanza un confronto tra il dipanarsi della Storia, che noi quotidianamente percepiamo diluito nel continuum della cronaca, e la necessità di trattenere qualcosa da condensare in forma visiva, che non sia istantaneamente destinato a scomparire. Nelle reti che gettiamo nel mare delle nostre vite, pare suggerire l’artista, non troviamo ormai altro che residui, ectoplasmi evanescenti e indistinti. Elementi che forse solo la pittura aiuta a capire e ricomporre, in un lucido tentativo di opporsi al flusso del tempo e allo sconforto della perdita.