La sorpresa arriva all’ultimo momento, al termine della rquisitoria del pg Antonello Mura, e se non cambia tutto poco ci manca. Il pg chiede di confermare la condanna per frode fiscale a quattro anni di reclusione, tre dei quali già indultati, ma anche di ridurre l’interdizione dai pubblici uffici da cinque a tre anni. Riduzione di pena da applicarsi subito e direttamente, senza passare per un nuovo processo d’appello.
Sembra un particolare. Non lo è. Infatti riporta sul volto dei berlusconiani il sorriso che la durezza della requisitoria, fino a quell’ultimo passaggio, aveva cancellato. E tirano un mezzo sospèiro di sollievo anche i sostenitori del governo Letta, tutti quei pd che temono la sentenza definitiva nel processo Mediaset quasi quanto il Pdl.
La prima differenza significativa è che, se il governicchio riuscirà a galleggiare fino a fine legislatura o quasi, Silvio Berlusconi potrà ricandidarsi. Il lustro, invece, lo avrebbe messo comunque fuori gioco alle prossime elezioni e dunque, dati i limiti d’età, probabilmente a vita. Certo, ci sarà comunque la decadenza da senatore, perché sul voto del Pd non ci sono dubbi. Ma in Senato, dall’inizio della legislatura, il gran capo si è fatto vedere solo una volta. La sua eventuale forzata assenza non si noterà.
Per Berlusconi la possibilità di ricandarsi fra tre anni (sempre che nel frattempo non arrivino nuove condanne) vuol dire molto. Per Letta significa altrettanto se non di più. Se la Cassazione accetterà la richiesta del pg, il Pdl avrà da domani un motivo in più per tenere in vita il suo governo.
Ma non c’è solo questo. L’intero esercito del Cavaliere, accampato a Montecitorio o palazzo Madama con un occhio ai decreti in discussione e molto di più al palazzaccio di piazza Cavour, aveva seguito quasi parola per parola la requisitoria sperando in uno spiraglio, convinto che qualsiasi differenza tra le richieste di Mura e le sentenze precedenti sarebbe stato un ottimo segno, tanto da far sperare in un verdetto positivo. Forse il rinvio in appello, forse addirittura quell’assoluzione piena che Coppi, il principe del foro che ha scelto una linea opposta a quella sin qui seguita dal collega Ghedini, insiste nel ritenere a portata di mano. Proprio all’ultimo secondo lo spiraglio si è aperto, anche se bisognerà aspettare la sentenza, forse stasera, forse domani mattina, per sapere se quelle speranze sono fondate o frutto solo di una superstizione giudiziaria.
Il diretto interessato, stavolta, aspetta da solo, chiuso a palazzo Grazioli con la figlia Marina e la «fidanzata» Francesca Pascale. Porte ancora aperta solo per Piersilvio, atteso in serata. Nemmeno nel pomeriggio si era concesso ai capibastone. Udienza solo per gli amici e i collaboratori di sempre, Gianni Letta e Paolo Bonaiuti, e solo per qualche ora. Le voci che filtravano dal palazzo lo dicevano tetro e pessimista. Non è dato sapere se quei due anni in meno di interdizione siano bastati o no a rasserenarlo.
Di certo, anche se condannato, a questo punto il capo assoluto dovrà riflettere ancor più di prima sulla decisione di far ricadere o meno la sentenza sul governo Letta. Aveva già stabilito di evitare a tutti i costi qualsiasi automatismo. Come ripetuto anche ieri da Daniela Santanchè, figurarsi se proprio Berlusconi, che questo governo lo ha voluto e lo sostiene più di chiunque altro, potrebbe mai metterlo in crisi. Il problema sono i soci del Pd.
La traduzione è facile: a rompere dovranno essere loro, i democratici, ma spingerli al gran passo non dovrebbe risultare arduo. Già faticherebbero parecchio a reggere l’alleanza con un condannato, sia pure agli arresti domiciliari o affidato ai servizi sociali. I renziani non si farebbero pregare per rendergli il compito ancor meno grato. Se poi si aggiungesse qualche manifestazione rumorosa, come l’abbandono delle aule parlamentari o il presidio muto di fronte al Quirinale (solo per citare due delle ipotesi più quotate) il gioco sarebbe fatto.
Solo che fino a ieri l’imputato aveva sul tavolo una tripla: l’assoluzione, cioè il trionfo e l’umiliazione dei magitrati di Milano; il rinvio in appello con prescrizione quasi garantita, che dal punto di vista politico non avrebbe cambiato nulla concedendo però l’onore delle armi alla procura di Milano; la condanna, con apocalisse annessa. Ora è spuntata una quarta ipotesi, la condanna ma non più a vita. E anche le strategie dovranno essere ripensate da capo.