Domani sera, almeno al senato, i partiti consegneranno a Pietro Grasso i nomi dei membri delle commissioni permanenti. Il termine, che scadeva lo scorso 25 marzo è stato prorogato dai capigruppo e non dovrebbero più esserci deroghe. Ma questo non vuol dire che, come chiedono i «grillini», le commissioni poi si insedieranno veramente.

 

La prima seduta infatti deve essere convocata direttamente dal presidente del senato, che deve anche scegliere in prima persona i nomi dei «resti» dei seggi che spettano ai vari partiti. «Resti» che di norma vengono distribuiti per rispettare gli equilibri tra maggioranza e opposizione. Che allo stato, com’è noto, ancora non ci sono, visto che non c’è un governo che ha ricevuto la fiducia delle camere.

 

Per cui anche consegnati i nomi dei commissari, è più che verosimile che la costituzione effettiva slitti ancora, in attesa che si trovi la «quadra» politica su Quirinale e nuovo governo.

 

In alto mare anche le giunte (a parte quella obbligatoria del regolamento) e di riflesso anche le commissioni di controllo, che di norma sono guidate dall’opposizione.

 

Situazione ancora più liquida alla camera, dove il regolamento non prevede un termine per la costituzione delle commissioni e dove, per prassi, si è quasi sempre attesa la formazione del governo prima del varo: «Abbiamo chiesto ai gruppi i nomi dei deputati da assegnare alle commissioni ma nel frattempo non stiamo con le mani in mano», dice la presidente Laura Boldrini.

 

Nel frattempo, a fare tutto, a camera e senato c’è la «commissione speciale», un organismo temporaneo che di solito esamina solo i decreti legge in scadenza e invece ora, fatto inedito, discute anche i decreti legge futuri di un governo mai «fiduciato» dall’aula.

 

Approvata la relazione che è la cornice formale per l’imminente decreto sui debiti della pubblica amministrazione, la «commissione speciale» è dunque subito diventata il parafulmine delle tensioni politiche. Non essendoci altro sul tavolo, Pdl e Lega hanno messo nel mirino il fin qui innocuo decreto Balduzzi sulla sanità varato il 25 marzo scorso.

 

Il decreto, di due soli articoli, rinvia di un anno la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari e regolamenta alcune terapie sperimentali a base di cellule staminali (metodo Stamina).

 

A difendere Balduzzi in commissione all’inizio si schierano Pd e «montiani», mentre i 4 grillini, che sono l’ago della bilancia, fino alle 20 non avevano ancora deciso il da farsi.

Quando decidono per il no anche il Pd passa a votare contro, così in serata a parte i 2 «montiani» tutti gli altri membri della commissione approvano la pregiudiziale di costituzionalità dell’articolo 2 sulle staminali avviando il decreto su un binario morto verso un probabile ritiro da parte del ministro. La decisione definitiva ora passa all’aula.

Ma al di là delle staminali, è un segnale chiarissimo di tutti i principali partiti al governo Monti, che anche se è ancora in carica di fatto non può più governare.