«Per noi a Roma comunque va bene». Fresco di jogging mattutino, il dirigente del Pdl che parla del voto a Roma non la manda a dire: «Il Pd ha resuscitato una giunta sepolta e sulla quale neppure noi avremmo scommesso un cent».
Vero, però una vittoria a sorpresa di Alemanno qualcosa vorrebbe pur dire: se ce la fa addirittura il brocco, figurarsi un cavallo di razza come Silvio. La spinta verso il voto si rafforzerebbe di parecchio e anche la tentazione di evitare rischi di sorta facendo quadrato intorno al “porcellum” potrebbe diventare irresistibile.

Però è dall’altra parte della barricata che il risultato capitolino piomberà come una bomba a grappolo. Se il Pd, nel voto di lista, sarà penalizzato oltre le fosche previsioni si troverà preso in una tenaglia da manuale. Sarà la prova che il governicchio Letta lo sta definitivamente salassando, ma sarà anche una assordante sirena d’allarme che mette in guardia dall’azzardo delle urne politiche.

Renzi, e il sistema di alleanze composite che intorno a lui si sta aggregando, coglierebbero l’occasione per accelerare sia la riduzione del governo Letta a esecutivo di scopo destinato a vita breve, sia l’arrembaggio ai vertici del partito. Lo schema è già pronto: Chiamparino alla segreteria in nome di una sterzata politica drastica, Renzi pronto a sfidare Silvio nel duello elettorale e per mettersi al sicuro dalle coltellate alle spalle, che da quelle parti vanno via come il pane, un accordo di ferro con D’Alema con la promessa del Colle per contropartita. I tempi del congresso si farebbero di colpo molto più vicini, e la corsa diventerebbe frenetica se all’insuccesso nel voto di lista si accompagnasse il disastro della sconfitta di Marino.

Se le percentuali saranno invece meno sconfortanti, se il Pd potrà illudersi di aver se non frenato almeno rallentato l’emorragia, se l’elettorato darà segno di concedere un qualche credito persino all’alleanza con Berlusconi, allora il vento soffierà in direzione opposta. Rafforzerà il traghettatore che viene dalla Cgil, renderà meno pressante l’urgenza del congresso, permetterà di scommettere ancora sull’idea di un governo Letta senza data di scadenza.

Per Grillo l’incognita romana è altrettanto importante. Avrebbe potuto tentare il colpaccio della conquista della capitale, e probabilmente ha anche pensato di farlo. Poi ha cambiato idea, ha rallentato, ha giocato per non vincere. Perché ha scelto un profilo così basso? Probabilmente per una somma di motivi diversi. Prima di tutto perché arrivare alle elezioni politiche con alle spalle un eventuale risultato fallimentare in una città difficilissima da governare come Roma non sarebbe certo stato un buon viatico per la conquista del governo. Poi perché, dopo gli errori commessi dal 25 febbraio in poi, l’ex comico non ha voluto rischiare una sconfitta secca tentando la presa di Roma col rischio di fallirla. Ha preferito giocare sul sicuro, ma se dovesse portare a casa un carniere elettorale vuoto rispetto al trionfo di febbraio il danno d’immagine sarebbe enorme. E il riflesso sulla tenuta dei gruppi parlamentari arriverebbe subito.