«Sì, ma con libertà di coscienza». L’ufficialità arriverà solo la prossima settimana, a tre settimane dal voto. Ma ormai ai piani alti del Pd la decisione è presa: al referendum per il taglio dei parlamentari i democratici arriveranno con una linea favorevole al Sì, ma non militarizzata. Un sì “ultralight”, dunque, per non far arrabbiare gli alleati del M5S, ma col naso turato.

Zingaretti si presenterà con questa linea alla direzione convocata ai primi di settembre. Lo conferma un dirigente a lui vicino come Bruno Astorre, segretario regionale del Lazio. «Si dovrà sapere che il Pd è per il sì, ma sarà lasciata libertà di coscienza. Zingaretti verrà in direzione con questa linea». Una linea che lascia dunque piena agibilità ai tanti dirigenti che faranno campagna per il No (da Gianni Cuperto a Matteo Orfini), una lista a cui ieri si è unito un big come l’ex tesoriere Luigi Zanda.

Il Pd resta fedele – pur se controvoglia -al patto di governo siglato col M5S la scorsa estate, ma nei prossimi giorni crescerà il pressing su Conte e gli alleati per avere precise garanzie sui correttivi alla riforma e sulla nuova legge elettorale. Graziano Delrio, capogruppo alla Camera, si incarica di fare la lista delle richieste.

La prima è il rilancio (e cioè l’adozione come testo base) entro il 20 settembre del ddl sulla nuova legge elettorale (proporzionale con sbarramento al 5%) ora insabbiato in commissione a Montecitorio, dopo il dietrofront di Renzi a luglio. E ancora: Delrio chiede entro la stessa data che vadano in Aula altri correttivi come l’abbassamento dell’età per votare i senatori da 25 a 18 anni e «la modifica della base di elezione regionale per superare i problemi di rappresentanza delle minoranze nelle regioni più piccole». Infine, Delrio chiede la riduzione dei delegati regionali per l’elezione del Capo dello Stato, in proporzione ai numeri delle nuove Camere.

Si tratta- tranne la legge elettorale- di modifiche costituzionali, che richiederanno quindi 4 voti tra Camera e Senato. Un iter molto lungo, ma i dem si accontentano di segnale di fumo. «Un anno fa abbiamo posto delle condizioni per il nostro sì alla riduzione dei parlamentari – ricorda l’ex ministro dei Trasporti – perché questa riforma fosse equilibrata, ora chiediamo coerenza ai nostri alleati».

Al netto dei tecnicismi, per il Pd non è facile uscire dall’impasse. E del resto il partito ha comunicato da tempo all’Agcom- che monitora gli spazi tv durante la campagna referendaria per evitare squilibri – la scelta per il Sì, anche se finora gli esponenti dem hanno quasi sempre disertato le tribune Rai.

Resta da capire se da qui alla data del voto il Pd riuscirà a portare a casa qualcuna delle bandierine evocate da Delrio. Improbabile. Un timido segnale arriva da Italia Viva: «Noi siamo disponibili a dialogare sulla legge elettorale anche perché, rispetto a luglio, le condizioni sono cambiate», spiega Marco Di Maio, che si occupa delle riforme per conto di Renzi. «Ma settembre è già bello pieno…». E da Forza Italia protesta la capogruppo Mariastella Gelmini: «Assurdo tenere impegnate le Camere fino al 20 settembre per delle “riformine” che non interessano a nessuno».