Fin qui ha gioco facile, Matteo Orfini, a rivendicare che Marino e Zingaretti non solo «devono rimanere al loro posto», contrariamente a quanto chiedono Lega, M5S e le destre, ma anzi «vanno ringraziati perché sono i baluardi della legalità». E «sciogliere il Comune di Roma significherebbe andare incontro alle richieste della criminalità organizzata».

Le carte degli inquirenti giustificano la blindatura del sindaco di Roma e del governatore del Lazio imposta anche da Matteo Renzi, che non a caso liquida la faccenda commentando: «Quando arriverà la sentenza definitiva è giusto che chi ha violato le regole paghi fino all’ultimo giorno e all’ultimo centesimo».

Ma il terremoto è appena cominciato. Il Pd romano ne è consapevole, scosso fino alle fondamenta non tanto dalla seconda ondata di arresti arrivata ieri, dopo la moratoria elettorale, a proseguo dell’inchiesta su Mafia Capitale, quanto dal timore – quasi una certezza – che altri pezzi del partito a breve si possano aggiungere al già lungo elenco di amministratori dem sottoposti alle misure cautelari predisposte dall’ordinanza del gip Flavia Costantini.

Di questo parlano per due ore i vertici del partito romano e laziale convocati d’urgenza ieri pomeriggio al Nazareno dal presidente del Pd. E infatti Orfini si limita poi solo a ripetere quanto già detto nei mesi scorsi. Non c’è sorpresa, nelle sue parole, per gli arresti in carcere o ai domiciliari inflitte a vario titolo agli ex assessori capitolini Daniele Ozzimo (Casa) e Angelo Scozzava (Politiche sociale), all’ex presidente del X Municipio (Ostia) Andrea Tassone, all’ex presidente dell’Assemblea capitolina Mirko Coratti che si era già autosospeso a dicembre, al presidente della commissione Patrimoni Pierpaolo Pedetti, al responsabile del dipartimento politiche Sociali della Regione Lazio Guido Magrini. E nemmeno a Stefano Bravo, uno dei soci fondatori di “Human Foundation”, l’organizzazione di Giovanna Melandri.

È vero, ammette Orfini, che il presidente della cooperativa 29 giugno, sodale del nero Carminati, parla di Marino dicendo che «se resta sindaco altri tre anni e mezzo, con il mio amico capogruppo ci mangiamo Roma». Ma Coratti (verosimilmente il capogruppo in questione), «non era esattamente considerato un sostenitore di Marino», spiega il presidente dem. Dunque, un punto a favore del sindaco «marziano», osteggiato da colui che fino a dicembre scorso era a capo del Consiglio comunale di Roma e che – secondo l’accusa – sarebbe stato ribattezzato dai ras del “Mondo di mezzo” «Balotelli» perché, rivelerebbero le intercettazioni, non faceva «un gioco di squadra» e «aveva pretese continue, tra cui l’assunzione di persone nelle coop di Buzzi».

E ancora: «Che l’amministrazione Marino sia considerata un ostacolo per la criminalità organizzata – aggiunge Orfini – lo dimostra il fatto che Buzzi, Carminati e i loro sodali auspicano la caduta della giunta dicendo: “se i nostri avessero coraggio farebbero cadere Marino”». Anche se poi il sistema tripartito (politica – imprese – crimine) che aveva in mano Roma, avrebbe dovuto fare a meno di importanti “gangli” interni all’amministrazione comunale.

Dunque nessun problema: «Tutti i consiglieri colpiti dal provvedimento sono automaticamente sospesi dal partito», annuncia il commissario del Pd romano rispondendo duramente agli attacchi del M5S («se chiedono le dimissioni di Marino, che combatte i clan, poi non si stupiscano se i loro esponenti sono gli idoli dei clan di Ostia»), di Giorgia Meloni («gli unici ad essere indagati per mafia sono Alemanno e Gramazio»), e di Salvini («c’era un sistema criminale che lucrava sui più deboli perché c’era la gestione emergenziale voluta dal ministro Maroni»).

Anche Stefano Esposito, il commissario inviato da Renzi ad Ostia a dicembre scorso, dopo la prima tranche di Mafia Capitale, ammette che «gli arresti non erano inaspettati». D’altronde, «siamo stati chiamati a governare una città che aveva un problema di mafia e ce l’ha ancora», continua Orfini. E «il Pd romano è stato commissariato perché aveva la responsabilità di non essersi accorto di quanto stava accadendo, perché distratto e ostaggio di una guerra interna». Ma ora, «azzerato il tesseramento 2014, ripartiamo da capo. E – rivendica il presidente dem – quello che sta avvenendo è figlio delle dure e inflessibili azioni che abbiamo intrapreso in questi mesi».

Il mea culpa politico si ferma qua. Il problema semmai – è l’appello di Orfini alla città – è che «le imprese, le cooperative, il mondo del lavoro e nel complesso le classi dirigenti non hanno fatto un’opera di rigenerazione simile a quella del Pd». E una stoccata va anche agli apparati di sicurezza: «È curioso – dice – che una figura come Carminati abbia potuto costruire un sistema criminale di tale entità. Chiederò al Copasir come è possibile che i servizi segreti non si siano accorti di cosa stava facendo una persona a loro evidentemente nota».

Rimane però anche da capire la veridicità e le conseguenze politiche di certe accuse formalizzate ieri contro Buzzi nell’ordinanza del gip, laddove chiama in causa anche altri esponenti Pd che, seppur senza commettere reato, mostravano particolare vicinanza con il ras delle coop rosse e particolare accondiscendenza ai suoi desiderata.