Il Pd teme il flop in Senato: «Senza una maggioranza vera c’è il voto»
I dubbi dei dem L’incubo del governissimo: «Non possiamo ripetere l'errore di Bersani nel 2011»
I dubbi dei dem L’incubo del governissimo: «Non possiamo ripetere l'errore di Bersani nel 2011»
La battuta che circola ai piani alti del Pd fotografa bene la preoccupazione sull’esito dell’operazione responsabili: «L’unico modo per salvare la legislatura è che i parlamentari di ItaliaViva facciano come De Filippo». E cioè il deputato che ieri ha lasciato Renzi per tornare tra le fila dem.
L’ipotesi di rifare una maggioranza con Matteo non viene presa molto in considerazione: «Noi non ci fidiamo», spiegano al Pd, «ma il tema è che Conte non ne vuole più sapere di Renzi, ed è difficile dargli torto».
Se i responsabili non sono abbastanza e se Italia Viva è davvero fuori, si torna al punto di partenza, come nel gioco dell’oca. «Con l’apertura della crisi da parte di IV si stanno determinando condizioni sempre più difficili per garantire un governo adeguato al Paese, rischiando di aprire scenari imprevedibili», recita una nota dei dem, che continuano a vedere le elezioni come «sbocco possibile se Conte non riuscirà a mettere insieme un gruppo vero che possa sostituire Renzi».
Lo scenario ritenuto più probabile al Nazareno è che Conte prenda la fiducia alla Camera e anche al Senato, fermandosi però poco sopra quota 150. «A quel punto», spiega un parlamentare molto vicino al segretario, «il governo può andare avanti. Ma se nelle settimane successive non nasce un progetto serio, un gruppo vero che garantisca di poter lavorare bene in entrambe le camere si rischia davvero di votare a giugno».
Ci si potrebbe arrivare con lo stesso Conte, o con un governo istituzionale. Poco cambia. «La spina non la staccheremmo noi, si staccherebbe da sola», ragionano i dem. «Ci serve un patto di legislatura e una maggioranza politica che si impegni ad utilizzare al meglio i fondi del Recovery e a mantenere quella credibilità che abbiamo conquistato in Europa», sottolinea la vicepresidente Debora Serracchiani alla vigilia della direzione del partito che si riunirà stamattina.
Le critiche fatte a Conte da Zingaretti e dagli altri big del Pd in questi mesi non sono di colpo evaporate. Così come la richiesta di un riassetto del programma e del governo. Ma rischiano di essere travolte dallo scontro tra il premier e Renzi.
Se Conte non dovesse centrare l’obiettivo di rafforzare la maggioranza, per i dem il vero incubo non sono le urne, ma il governissimo. Come accadde nel 2011 con Monti dopo le dimissioni di Berlusconi e in piena crisi dello spread. L’allora segretario Bersani fu danneggiato dall’abbraccio con Berlusconi.
E così il mantra che ripetono i dirigenti Pd è «mai più un governissimo». «Mai con la destra sovranista», «mai al governo con gli sciamani o gli amici di Trump». Ma se la crisi dovesse entrare in stallo sanno perfettamente che, prima di precipitare il Paese alle urne, il Quirinale potrebbe tentare la via di un nuovo Monti con tutti dentro, compresa la Lega.
«Questa è l’operazione che Renzi ha in mente dall’inizio e che servirebbe ad ammazzare noi e il progetto di un’alleanza strutturale col M5S», spiegano. Pronti alle barricate, ma consapevoli che per un partito come il Pd dire no a Mattarella sarebbe praticamente impossibile
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