La storia dell’Italicum, la legge elettorale che l’Europa doveva copiarci e che Renzi si era appuntato al petto – «ho imposto la mia volontà» – potrebbe essersi conclusa per sempre ieri sera in commissione affari costituzionali alla camera. Il Pd l’ha rinnegata per l’ultima volta. Il relatore l’ha ritirata, anche se non si è ancora dimesso perché ha il sostegno delle minoranze. Decapitato dalla Corte costituzionale (via il ballottaggio), l’Italicum restava la base della possibile soluzione al problema che grava sul Palazzo: il rischio di tornare a votare con due leggi diverse per camera e senato, con la quasi certezza di due maggioranze diverse. Il relatore in prima commissione, Mazziotti, proponeva l’estensione dell’Italicum residuo anche al senato. Il Pd, con l’appoggio determinante di Verdini e Lega, ha fatto cadere la proposta. Preferisce adesso un sistema con il 50% dei seggi uninominali e il 50% proporzionali, ma questa è solo l’etichetta di un testo che, come vedremo, mortifica la rappresentanza come le due precedenti leggi incostituzionali, Porcellum e Italicum.

ASSASSINATO ieri dai suoi autori, l’Italicum potrebbe persino risorgere perché la trama renziana non dispone al momento di tutti i voti necessari al senato. In caso di fallimento resterebbe in piedi il sistema zoppo in vigore adesso, quello che il presidente Mattarella ha chiesto ai partiti di correggere al più presto. Ma a Renzi non dispiace, le sue mosse e contromosse (il Pd ha cambiato proposta almeno tre volte negli ultimi due mesi) congiurano per quel risultato. O se lo tengono come comodo punto di caduta. Renzi però dà la colpa agli altri, ai «piccoli» che «vogliono far saltare l’approdo della legge in aula il 29 maggio e fanno uno sgarbo a Mattarella». È vero il contrario: la decisione del Pd di ripartire da zero non consentirà alla commissione di concludere in tempo l’esame sulla nuova legge.
Il Pd presenterà oggi, la proposta che vorrebbe affidare alle cure di un suo relatore, sfiduciando Mazziotti. Il nucleo duro della legge sta nel divieto del voto disgiunto, ed è ripreso dalla proposta i Parisi, deputato di Verdini. È quasi un inedito per l’Italia, visto che gli elettori sono abituati da anni a poter scegliere un candidato a sindaco, o a presidente di Regione, e magari una lista tra quelle che sostengono un candidato alternativo. È il cosiddetto panachage, consentito nel sistema tedesco, citato all’inizio da Renzi come ispirazione. In realtà questo nuovo sistema messo in piedi dal tosco-renziano Parrini con il tedesco non ha nulla a che vedere.

IN GERMANIA c’è una legge proporzionale. Lì i voti sono due, il primo serve a scegliere il candidato che vince nel collegio, ma è il secondo che decide la composizione esattamente proporzionale della camera (al netto dello sbarramento). E c’entra poco anche il richiamo al Mattarellum, legge che pure prevedeva due voti anzi addirittura due schede (per la camera). Con quella legge elettorale, sperimentata tre volte tra il 1994 e il 2001, il «ricatto» del voto utile – del tipo «votate Ulivo altrimenti vince il candidato di Berlusconi» – poteva valere solo nella sfida uninominale. Al proporzionale si era liberi di votare per il proprio partito preferito. È vero che con il Mattarellum la percentuale di seggi attribuiti con il maggioritario era più alta rispetto alla proposta di adesso, 75% contro 50%, ma allora era previsto lo scorporo per compensare le liste più piccole. Adesso invece Renzi punta a blindare il campo di gara, riconducendo tutto alla sfida tra lui e Grillo. Le piccole liste, destinate a conquistarsi pochi deputati nella quota proporzionale, rischieranno di perdere anche quelli. Perché l’elettore, scegliendole, dovrà obbligatoriamente votare anche per il candidato all’uninominale che ha meno speranze, sostenuto da quella piccola lista. Altrimenti si annulla la scheda, una regola che prevedibilmente chiamerà nuovi ricorsi alla Consulta.

IL SISTEMA immaginato da Renzi non prevede premio di maggioranza. Non serve, soglia di sbarramento (ipotizzata al 5%) e divieto di voto disgiunto ottengono lo stesso risultato. Dal rifiuto delle coalizioni come male assoluto – la famosa «vocazione maggioritaria» – si passa all’obbligo di coalizione, perché chi non è né Renzi, né Grillo, né Berlusconi deve necessariamente intrupparsi dietro al loro candidato nell’uninominale se vuole sperare di raccogliere qualcosa nella parte proporzionale. La spiegazione di questo cambio di impostazione è molto semplice: è un trucco. Le coalizioni si smembreranno un attimo dopo la proclamazione degli eletti e ognuno porterà i suoi deputati nelle nuove alleanze. «Forza Italia – prevede il senatore di Mdp Fornaro, esperto di sistemi elettorali – eleggerà i suoi deputati con Salvini e li metterà al servizio delle larghe intese con Renzi». Anche perché, dal momento che il manico della legge sta nelle sfide uninominali (che condizionano il voto proporzionale, rovesciando il sistema tedesco), in un quadro politico tripolare non c’è alcuna garanzia che tutte queste dosi di maggioritario bastino a costruire una maggioranza.