Per dire che la richiesta di adesione al Partito del Socialismo Europeo è per il Pd una vicenda tormentata che viene da lontano, una lacerazione interna (con gli ex popolari fondatori del partito) che scava sin dalla nascita del 2007, che ha provocato negli anni fuoriuscite come una vena aperta, e che con ogni evidenza non si archivierà con il voto di ieri (nonostante il sì massicci, 121 contro un solo no, quello di Beppe Fioroni, e 2 astenuti, uno è il renziano Richetti), Matteo Renzi neanche stavolta ha cercato parole memorabili, adatte alla solenne circostanza.

«Dirò qualche tweet, evito la parte contenutistica. Il dibattito è stato ampio, l’adesione al Pse è un punto di arrivo per tante storie ma anche un punto di partenza». Renzi annuncia che martedì sarà a Tunisi, nel suo primo viaggio presidenziale, «perché il Mediterraneo sarà lo spazio privilegiato della nostra discussione», dice, omaggiando Massimo D’Alema che è appena intervenuto sul tema e che ha descritto l’adesione al Pse come «uno sbocco naturale, una scelta politica e non ideologica. Aderiamo ad un campo di forze progressiste molto variegato». Quanto al congresso del Pse che inizia oggi a Roma, per Renzi «sarà un’occasione particolarmente interessante. In bocca al lupo». Punto.

È la già leggendaria capacità del premier-segretario di semplificare le questioni complicate. Ma stavolta resta il giallo della linea politica su cui si attesterà lui stesso sabato mattina, quando dovrà intervenire di fronte ai leader dei partiti fratelli , alla proclamazione del socialdemocratico tedesco Martin Schulz candidato ufficiale del Pse (Socialisti&Democratici, sottotitoli inseriti ad uso dei nuovi affiliati italiani) alla presidenza della commissione europea.

Un’ora prima che il Pd mandasse in streaming il suo dibattito, in una saletta di Montecitorio due deputati di Sel (due indipendenti, Giulio Marcon e Giorgio Airaudo), insieme all’ex viceministro Stefano Fassina presentavano il numero di oggi di «Sbilanciamo l’Europa», inserto del manifesto, che contiene proprio un’intervista a Martin Schulz, a firma di Thomas Fazi. Nella quale il candidato socialdemocratic, esponendo il suo programma, si scaglia contro «il neoliberismo» ma anche e soprattutto contro «le tesi neoliberiste riprese e applicate anche dai partiti socialdemocratici europei», a partire dal New Labour di Tony Blair «che hanno liberalizzato il mercato del lavoro e deregolamentato quello finanziario» e approfondito le diseguaglianze sociali. Quel New Labour che però è uno dei miti fondativi dell’era Renzi, guida del Pd ed ora dell’Italia.

Il rischio, insomma, è che Renzi, appena iscritto al Pse, si collochi già alla destra persino di Schulz, a casa sua sostenitore delle politiche di Merkel. «È una svolta culturale importantissima», commenta Fassina, che con i deputati di Sel – che invece alle europee tifano per il greco Alexis Tsipras – sta intrecciando un fitto dialogo a proposito di un programma comune «per una svolta radicale nelle politiche europee» da riprendere in mano almeno dopo il voto di fine maggio. Più tardi, alla direzione Pd, Fassina ha ripetuto: «Con l’adesione al Pse entriamo in un cantiere aperto, dove c’è un confronto culturale e politico al quale dovremmo partecipare. In Europa dobbiamo rappresentare un’alternativa forte» perché la Ue sta su una «rotta insostenibile, quella mercantilista, quella di far diventare l’Europa come la Germania, di crescere attraverso le esportazioni».

Quale sarà la «rotta» che Renzi esporrà sabato, e poi quella che sosterrà a luglio, da presidente di turno del Consiglio della Ue? Federica Mogherini, ministra degli esteri, ieri ha ripetuto la linea già esposta dal premier: «Non è nelle corde né del Pd né del nostro governo mettere in discussione i parametri. Il punto è quello di essere credibili per chiedere una maggiore flessiblità per far ripartire la crescita». A contare dei caratteri, sono un paio di tweet. E non di quelli che cambiano la «rotta» europea.