La plastica realtà del stare all’opposizione. Senza i popcorn o con i popcorn indigesti, decidete voi. Succede che il Pd presenta la sua prima proposta di legislatura alla camera. E che lo faccia con l’organigramma di partito al gran completo: segretario (Maurizio Martina che i rumors danno verso la conferma con pieni poteri), capogruppo alla camera (Graziano Delrio), capogruppo al senato (il renzianissimo Andrea Marcucci) e responsabile economia (il professor Tommaso Nannicini).
Mancano solo il presidente (Matteo Orfini) e l’ex segretario (Matteo Renzi). Manca soprattutto l’autocritica. E si comincia da dove si era finito.
Titolo: «Potenziare ed estendere il reddito di inclusione». Sottotitolo: «Altro che reddito di cittadinanza», che pochi minuti prima il ministro Tria annunciava in aula come misura «centrale contro la povertà» per il nuovo governo.
Lodevole il tentativo: «Il Pd riparte della lotta alla povertà». Peccato che i quasi 4 milioni di italiani sotto la soglia di povertà siano figli delle stesse politiche portate avanti nella scorsa legislatura con un aumento molto superiore al resto d’Europa. E che il Reddito di inclusione (Rei) sia arrivato solo all’ultimo anno di legislatura sotto la spinta dell’Alleanza contro la povertà guidata da quei sindacati che il renzismo voleva distruggere.
Lo storytelling però è ancora da campagna elettorale. «Cinque anni fa si spendevano contro la povertà 40 milioni di euro con una misura sperimentale, oggi invece grazie ai governi Renzi e Gentiloni ci sono 3 miliardi annui a disposizione nel bilancio dello stato, con il sistema dei decreti attuativi già implementato e la legislazione affinata», introduce Delrio. «Noi abbiamo istituito quella misura universale contro la povertà che nel contratto del governo del cambiamento si dice che ancora non c’era, forse per un copia-incolla frettoloso», attacca Nannicini. «Abbiamo investito 7 miliardi nella lotta alle disuguaglianze», rimarca orgogliosa Elena Carnevali, unica donna al tavolo.
In realtà i miliardi sono molti meno. E anche i 3 sbandierati come già a bilancio sono per il 2019 con la dizione Fondo povertà. E negli stessi documenti del Pd si specifica che siano «2,3 miliardi nel 2018 e quasi 3 a partire dal 2020, considerando anche le risorse europee Pon Inclusione, destinate al finanziamento dei servizi».
Ecco allora il piano del Pd. «Ora il Rei è uno strumento che raggiunge 2,5 milioni di persone – scandisce Nannicini nonostante gli stessi documenti del Pd citino i dati Inps che parlano di «230 mila nuclei familiari e 870mila persone nel primo trimestre 2018, poco meno della platea annuale stimata», pari dunque a molto meno di 2,4 milioni – in pochi mesi può aiutare tutti e 4 i milioni di persone che sono sotto la soglia di povertà».
Lo strumento è un raddoppio del finanziamento: «dagli attuali 3 a 6 miliardi».
Con quali coperture? Uno si immagina una patrimoniale – chiesta da gran parte dell’Alleanza contro la povertà – e invece niente di tutto ciò. «Provvedimenti regolamentari e amministrativi di razionalizzazione e di revisione della spesa pubblica tali da assicurare minori spese per 3 miliardi a decorrere dal 2019», si legge all’articolo 8 della proposta di legge. Insomma, spending review e tagli al welfare e ai servizi, in piena continuità col renzismo che così finanziò anche gli 80 euro.
La parte più riuscita della conferenza stampa è quella di attacco «alle chiacchiere e al libro dei sogni del reddito di cittadinanza». Ma alla fine arriva l’ennesima promessa. «Presto presenteremo la nostra seconda proposta: l’assegno universale per i figli». Sbagliare è umano. Perseverare – dopo aver perso – è diabolico.