«La seduta del senato ha dimostrato in maniera assolutamente evidente che il governo non ha più una maggioranza», «Conte si rechi immediatamente al Quirinale dal presidente Mattarella per riferire della situazione di crisi che si è creata». Alla fine della seduta del senato Nicola Zingaretti, che ha seguito gli interventi dal Nazareno, consegna l’ennesima richiesta di voto alle agenzie. Lo scorso 26 luglio ha nominato una «squadra ad hoc», una delegazione ristretta per l’eventuale precipitare della crisi: oltre al segretario ne fanno parte presidente, tesoriere, capigruppo e vicesegretari.

SONO TUTTI ALLERTATI. Anche perché sui cellulari di mezzo parlamento rimbalza una convocazione di Salvini ai suoi: «Non allontanatevi per le ferie». La giornata trascorre ad aspettare la crisi che non c’è. Alla fine il segretario fa sapere che però ha almeno due soddisfazione: «Il governo è spaccato in due come una mela e il Pd è unito».

«UNITO» PERÒ È UNA PAROLA grossa. Al senato e sui social, prima e dopo aver votato no alla mozione 5 stelle contro il Tav e il sì alla propria, il Pd zingarettiano e quello renziano se le suonano di santa ragione. La coabitazione non è precisamente pacifica. Nel Transatlantico di Palazzo Madama Luigi Zanda ammette: «Sono a favore della Tav ma ho votato per disciplina del gruppo, uscire dall’aula sarebbe stato politicamente molto più utile», dice ai cronisti, «poteva aiutare a fare emergere con più forza l’incompatibilità ormai conclamata tra Lega e M5s». In aula è Emma Bonino, voce della coscienza del fu centrosinistra, a lanciare un appello ai colleghi dell’opposizione: «Non offrite sponde agli uni o agli altri, lasciate che mostrino tutte le loro divisioni, non toglieteli dall’imbarazzo. Non hanno bisogno della vostra stampella, sarete solo accusati di aver fatto un inciucio per salvare questo governo. Per paura della crisi di governo e delle elezioni».

ERA ANCHE L’OPINIONE di Zingaretti e dei suoi. Lo testimonia, fra l’altro, un post su facebook del coordinatore della segreteria Marco Miccoli, alla vigilia del voto: «Far cadere questo governo è la priorità». Ma poi il segretario («per non dividere il gruppo») ha dovuto lasciare che i senatori decidessero autonomamente. E i senatori dem – a maggioranza renziana – «autonomamente» hanno scelto quello che con buon anticipo il capogruppo Marcucci aveva deciso, ispirato da Matteo Renzi. Che così porta a casa una discreta vittoria (eccezion fatta per il voto NoTav di Tommaso Cerno, eletto perché renzianissimo e ieri ultimo giapponese del ministro Toninelli).
IL SENATORE DI SCANDICCI si è presentato a palazzo un po’ su di giri. Fino all’ultimo anche Carlo Calenda aveva chiesto ai senatori dell’opposizione di uscire dall’aula durante il voto della mozione M5s. Certo, Forza italia non l’avrebbe mai fatto. Ma almeno sarebbe rimasta da sola a mettere la faccia sulla paura di votare. «La mozione No Tav non sarebbe passata ugualmente ed il Pd avrebbe svenduto la sua battaglia», replica Simona Malpezzi. Per Renzi quella di Calenda «è una divertente teoria». «Non fare il paravento», risponde l’ex ministro.

MA IL PD DI RITO FIORENTINO è allegrissimo. Perché «abbiamo dimostrato coerenza», come tuona Ernesto Magorno, membro della commissione trasporti. Anche in questo caso però «coerenza» è una parola grossa: per non urtare la sensibilità nazionalsovranista dei leghisti, i senatori dem hanno dovuto ridurre il loro testo a una riga. Cancellate dal testo originario le premesse e le considerazioni politiche che criticavano il governo.

IN OGNI CASO LA «COERENZA», magari in combinato disposto con lo scampato pericolo di voto anticipato, rende Renzi particolarmente brillante con i cronisti. Salvini, dice, «non ha le palle» per far saltare il governo, «se lo fa è perché ha finito i soldi. La sua macchina della comunicazione ne ha bisogno», i 5 stelle sono «pronti a votare tutto, anche che Grillo non fa più ridere. Io me li guardo ogni mattina e penso: avete ingoiato il vostro cucchiaino di merda?».

CE N’È ANCHE PER I COMPAGNI di partito, in omaggio al «Pd unito» che rallegra Zingaretti. L’ex segretario ce l’ha con Zanda che dalle colonne di Repubblica chiede un Pd «vicino ai lavoratori» e lo accusa di eccessi di «personalizzazione» e di «aver promesso che in caso di sconfitta avrebbe abbandonato la politica». Pure notazioni di cronaca. Che invece i renziani bollano come «attacchi violenti», simil «grillini» insomma da «irrecuperabili» (Luciano Nobili, deputato). Renzi invece ne è divertito fino al sarcasmo. Zanda?, scherza, è uno che «in trattoria ordina lo champagne nella caraffa di vino sfuso, per non far vedere che è, e dice all’oste: ‘porta il solito vino’», «Una vita da sempre al fianco degli operai. Se rinasco, rinasco Zanda. Un mito vero».

DAL NAZARENO PERÒ il messaggio resta lo stesso: «Noi perseguiamo l’unità, poi ciascuno si prenderà le sue responsabilità», fanno sapere. Succederà. All’approssimarsi del voto. Perché i renziani temono – forse a torto – di essere sbianchettati dalle liste Pd. Per ora fra loro nessuno crede alla crisi.

Ma nella giornata di ieri l’ansia un po’ è salita. Persino in Renzi, che vanta un rapporto personale e notizie di prima mano da Salvini. E che mentre discettava di prospettive della legislatura, ha lasciato scivolare di nuovo il fatto che «un nuovo contenitore», «un soggetto politico», nascerà «sicuramente».