Era stato il più votato con 896 preferenze alle Comunali 2015. E anche nel collegio uninominale Venezia-Spinea ha chiuso con oltre 1.800 voti più della coalizione. Nicola Pellicani, 56 anni, giornalista del gruppo Gedi, si prepara a debuttare come deputato Pd cui è iscritto da poco meno di tre anni.

Direttore della Fondazione intitolata al padre Gianni (leader “riformista” del Pci-Pds veneziano) e animatore del Festival della politica a Mestre, ha scelto venerdì scorso di riflettere pubblicamente con Giovanni Diamanti, co-fondatore dell’agenzia Quorum, sull’esito del voto: «Ho già fatto tre campagne elettorali in poco tempo, dalle primarie alle Politiche. Con tutta la buona volontà degli iscritti e dei militanti nei nostri circoli è più che evidente come, a Venezia e nel Veneto, scontiamo un ritardo cronico, una cultura minoritoria, perfino un atteggiamento di sufficienza».

 

Nicola Pellicani

Quindi la sconfitta viene da lontano?

È dal 1995 con Ettore Bentsik, davvero in grado di competere con Galan, che il centrosinistra alle Regionali non convince come alternativa. Non voglio giustificare l’ultimo esito delle urne, ma insistere sulla necessità di interrogarsi, aprire porte e finestre nel Pd, dialogare sul serio con la società, ripartire con il campo del centrosinistra allargato, insomma allestire una politica in sintonia con la realtà.

Qual è la prima evidenza nell’analisi dei numeri e dei flussi elettorali?

Intercettiamo nelle urne il 18% del lavoro autonomo come la Lega. Poi però il 40% dei disoccupati vota Salvini e appena il 7% Pd. Ancora: è vero che a Venezia centro storico restiamo sempre il primo partito, ma a Marghera il M5S arriva al 32% e noi al 19%. O Sacca Fisola, che all’epoca era una roccaforte del Pci, che è diventata “grillina”. Del resto, in Veneto abbiamo mantenuto il 48% degli elettori del 2013 e conquistato il 25% di chi votò per Monti, ma abbiamo perso anche un quarto dell’elettorato che ha preferito il M5S.

Uno scollamento fra città, più o meno metropolitane, e periferie “padane”? O c’è dell’altro?

Il Veneto ha il servizio sanitario d’eccellenza, ora cresce a ritmi cinesi (6% di produttività in più nell’ultimo trimestre 2017) e vanta un eccezionale tessuto di volontariato, solidarietà, terzo settore. Non possiamo prescindere da questo “modello” né immaginare di poter rappresentare solo le fasce garantite. Ecco: il Pd è chiamato a una fase costituente che significa però dar vita ad un cantiere del centrosinistra più ampio. Faccio solo un esempio macroscopico, frutto del lavoro condotto dalla Fondazione Gianni Pellicani ancora nel 2014. La ricerca sul terziario avanzato e sull’innovazione ci restituì 30 mila “lavoratori della conoscenza” con partita Iva e contratti flessibili da 700 euro al mese. Sono lo stesso numero degli operai a Portomarghera negli anni ’70 quando l’industria era al massimo dello sviluppo.

Nel 2020 si torna a votare, soprattutto a Venezia…

Bisogna cominciare dall’Abc: analizzare cos’è successo, definire la nuova “ragione sociale” del Pd e dimostrarsi interlocutori di mondi che non abbiamo più nemmeno intercettato. Penso anche alla necessità di aprire il dialogo con esperienze “civiche” già consolidate, come con chi nelle nostre Università può offrire contributi preziosi. La politica significa saper rispondere ai cittadini, reinventare Welfare, rappresentare chi non ha protezione o diritti. E, di conseguenza, offrire un governo della città o della regione che ne migliori il futuro.