«Diciamola tutta una buona volta: raccontarsi che il Pd perde nei territori perché lì è mancata la famosa innovazione che invece c’è al centro, cioè dire che gli intelligenti stanno solo al partito nazionale e gli altri sono tutti scemi, può essere una favola buona per dormire un po’ più tranquilli, ma resta , appunto, una favola, una storiella». Nico Stumpo, ex responsabile organizzazione del Pd, oggi colonna della sinistra dem coté poco accomodante, mette le mani avanti. Stavolta i risultati dei ballottaggi non consentono grandi margini interpretativi neanche ai fantasisti della squadra renzista. Il segretario con i suoi ammette «la sconfitta», pur stando attento a non far filtrare scoramenti o depressioni da perdente. Il suo numero due Lorenzo Guerini articola il concetto dicendo che la sconfitta veneziana «brucia», come pure quella di Arezzo, la città della ministra Boschi, e quella della roccaforte marchigiana di Fermo, e poi quelle di Matera e di Nuoro: il Pd resterà anche «il primo partito» ma questo «non è sufficiente a farci brindare».

Ma la ricerca di facili capri espiatori resta una tentazione forte per il Nazareno. Stumpo la vede, per esempio, in Debora Serracchiani che butta la croce sulle federazioni, ree di non essersi adeguate al renzismo centrale: «Il Pd vince quando offre fiducia e speranza ai cittadini, e in alcuni casi sui territori ciò non accade», dice la presidente friulana. Tradotto: non si è vinto perché la renzizzazione del partito non è ancora completa. Ma è un’argomentazione ormai inutilizzabile. «Un’analisi così autoconsolatoria come quella fatta da Renzi in direzione non regge la prova della realtà», attacca Alfredo D’Attorre. «È il momento di riaprire il confronto per un cantiere del centrosinistra largo: altro che partito della nazione o partito di Renzi. Se il Pd non torna a ricostruire il centrosinistra allargando la voragine a sinistra, rischia di restare isolato in una terra di nessuno e andare incontro a disastri elettorali». Il guaio è che anche questa lettura del voto rischia di essere superata. Il Pd non incassa il voto dei moderati, ma perde anche dove si propone con un’offerta ’di sinistra’, come il civatiano ex pm Casson a Venezia. Il campo della sinistra è ormai desertificato dalla tenaglia Renzi-5stelle.

Alle scorse regionali le uniche vittorie piene sono state quelle di De Luca in Campania e di Emiliano in Puglia: due candidati che hanno realizzato il ’partito della nazione’ che piace a Renzi, ma certo senza grande ’innovazione’. Tanto più che entrambe le regioni per ora sono nella palude: De Luca è in attesa dell’impossibile proclamazione, Emiliano è inceppato da un problema applicativo della legge elettorale regionale, peraltro modificata in fretta e furia alla vigilia del voto.

Nei luoghi delle sconfitte il Pd bordeggia l’implosione: in Liguria tutto il gruppo dirigente è dimissionario. E non solo perché ha perso, ma anche perché l’ex candidata Paita ora spara a 360 gradi, dal ministro Orlando a tutto il Pd locale che in campagna elettorale si sarebbe impegnato «in un’opera di demolizione dell’amministrazione uscente», quella del suo padrino politico Burlando. A Roma il sindaco Marino traballa. Il rinnovato sostegno di Renzi non basta, visto che Sel ieri ha fatto mancare i suoi voti in Campidoglio e in queste ore sta decidendo se continuare a sostenere la giunta. Intanto al Nazareno la commissione che doveva mettere mano allo statuto e alle primarie che hanno fallito un po’ ovunque, è ferma. La discussione non è mai iniziata perché il segretario non ha ancora deciso che fare.

Ultime ma non ultime, le due camere. Dove per la maggioranza non bella aria per Renzi. Al senato l’umore dell’Ncd dipende dall’esito dell’autorizzazione all’arresto di Azzolini. Intanto il ddl scuola va avanti, ma la sinistra Pd dà battaglia e il soccorso verdiniano ormai è una chimera del passato. Il bersaniano Gotor spiega che se si vuole portare a casa la riforma «la strada obbligata è l’unità del Pd». I giorni passano, sarebbe meglio «procedere con uno stralcio e assumere subito per decreto i precari delle graduatorie a esaurimento», e se non lo si fa è per «scaricare sul parlamento la responsabilità di un’eventuale mancata assunzione». Anche alla camera i guai non mancano. Oggi i deputati voteranno Ettore Rosato al posto del dimissionario Roberto Speranza. Ma il voto segreto potrebbe condizionare il risultato, molti voti mancheranno all’appello.

Renzi ostenta tranquillità. «Si va avanti solo se si ha il coraggio di fare riforme coraggiose», ha detto ieri dopo aver visto il presidente messicano Enrique Pena Nieto. Ma si va avanti solo se si hanno i numeri. E i numeri sono un’incognita, ora che il ricatto delle elezioni anticipate, mai stato verosimile, è definitivamente scomparso dallo spin di palazzo. Con tutte le conseguenze del caso.