Parte dal «salario minimo» la controffensiva per le Europpe del Pd. Il segretario Nicola Zingaretti annuncia «una proposta a settimana sui temi del lavoro e sociali, i grandi assenti dall’agenda del governo in questo momento».

Presentando il disegno di legge alla camera dove non siede, Zingaretti ha esordito con una specie di autocritica che non sarà di certo piaciuta ai renziani seduti di fianco a lui (il capogruppo Marcucci in primis): «È una

proposta importante» ma da sola non basta «perché servirebbe voltare pagina sulle politiche del lavoro e sullo sviluppo – per poi subito correggersi – ci vorrebbe un cambio di passo del governo sulla crescita ma questo non è all’orizzonte». «Gli occupati a rischio povertà – dice Zingaretti – sono circa il 12% contro il 9 dell’area euro: parliamo di lavoro povero, con categorie particolarmente esposte come i giovani fino a 29 anni e tra questi soprattutto le donne», accenando alla «precarietà» ma senza associarla al Jobs act (innominato).

LA SOTTOLINEATURA È per il recuperato rapporto con Cgil, Cisl e Uil rottamati da Renzi: «La proposta è frutto dell’ascolto di sindacati e datori di lavoro». E citando proprio la posizione dei confederali: «Il salario è solo la parte economica, ma nel contratto c’è la parte economica ma poi ci sono anche altre forme di diritti».

Rispetto alla precedente proposta del renziano Mauro Laus cambia quasi tutto. Non è più fissata una cifra di salario minimo (era di 9 euro netti l’ora mentre per il M5s deve essere 9 euro lordi) generale, ma è stabilito un meccanismo per cui assumono valore legale i minimi dei contratti nazionali firmati dalle organizzazioni più rappresentative (tema sul quale ora anche il M5s ha aperto nel ddl Catalfo che sarà la base della discussione). Il Pd propone di istituire una commissione ad hoc – «un poltronificio da 20 guidato dal Cnel», contesta il M5s – con le parti sociali per stabilire la soglia del reddito minimo orario. «Questa è una sfida anche alle parti sociali a scrivere insieme le regole», spiega il prof ex renziano Tommaso Nannicini.

I renziani cercano invece di inserirsi nelle contraddizioni della maggioranza: «Il salario minimo è sparito dall’agenda e dal calendario», tuona il capogruppo Marcucci. «Andate a vedere gli emendamenti della Lega al ddl Catalfo, sono tutti in linea con le nostre proposte. Anche su questo il governo è diviso», spiega il già renziano Edoardo Patriarca.

QUANTO AI SINDACATI la richiesta di modifica principale è duplice: attuazione dell’articolo 39 della costituzione e legge sulla rappresentanza. «Serve dare valore di legge ai contratti nazionali. Esistono tanti contratti pirata che stanno abbassando i diritti, devono invece essere firmati dai sindacati rappresentativi, è la strada per far sì che la legge garantisca i diritti dei lavoratori», ha ribadito ieri Maurizio Landini.

Da parte della maggioranza la promessa del sottosegretario al lavoro leghista (ex sindacalista Ugl) Claudio Durigon è che «nei prossimi giorni avremo una riunione: il tema è interessante ma va contestualizzato per dare sicurezza a tutti i lavoratori, ancora più importanti sono le norme sulla rappresentanza per evitare il dumping contrattuale».

«La nostra proposta consolida la contrattazione – controrisponde Cesare Damiano – prendendo a riferimento i minimi tabellari dei contratti che non possono essere uguali per tutti, ma differenziati per categorie. La cifra di 9 euro va superata, contraddice l’autonomia negoziale delle parti sociali e destabilizza il sistema contrattuale», conclude.