L’obiettivo è far avere a Giuseppe Conte almeno l’incarico per formare il nuovo governo. «Il Pd ha una sola parola ed esprime un nome come possibile guida di un nuovo governo: quello di Giuseppe Conte», scandisce Nicola Zingaretti nella sua relazione alla direzione del Pd (votata all’unanimità in serata).

Alla vigilia della salita al Collo del Pd (oggi alle 18,30) non ci sono subordinate nelle parole del segretario, che riesce a tenere insieme le mille anime del partito nel tentativo di favorire il reincarico.

Poi, se Conte dovesse fallire per il veto di Matteo Renzi, si aprirà un’altra partita, quella del dopo Conte, e sarà durissima per i dem uscirne uniti e indenni di fronte alle mille ipotesi che già iniziano a girare vorticosamente: un governo Di Maio, o Gentiloni, con l’attuale maggioranza più Forza Italia, uno di larghe intese guidato da un tecnico. Scenari che rischiano di dividere il Pd in troppi rivoli.

SONO LE ORE DELLA fantapolitica, con Italia Viva che propone nomi di premier a raffica per creare il panico dentro il M5S e il Pd. Ma da questo gioco (che ritiene pericoloso e sulla pelle del paese) Zingaretti, citando Aldo Moro, si chiama fuori: «Non dobbiamo mai commettere l’errore neanche di lambire una politica lontana della gente».

Salvare il soldato Giuseppe: questa la missione dei dem. Con «un nuovo governo con ampia base parlamentare, al riparo dai ricatti dei singoli partiti, di stampo profondamente europeista, aperto alle componenti di ispirazione moderata liberale socialista», dice il leader Pd citando l’appello dell’avvocato. Con Conte, non solo perché «è un punto di equilibrio con il M5S», ma anche perché «è considerato da una grande parte dell’opinione pubblica una risorsa importante». Dunque «sarebbe non solo ingiusto, ma irrealistico e avventuroso cambiare».

Zingaretti fa appello a tutto il partito: «La nostra unità, vera e non formale, nelle prossime ore sarà fondamentale per incidere nei complessi processi politici che si sono aperti». Dunque bisogna «tentare fino all’ultimo di realizzare questo governo, di impegnare ogni nostro sforzo». «E’ un nostro imprescindibile dovere», spiega Zingaretti, seguito poi in batteria da comunicati stampa di tutte le correnti del partito, per sottolineare che il segretario non è isolato.

PER CENTRARE L’OBIETTIVO, il leader Pd si rimangia anche il veto su «Renzi l’inaffidabile». Zingaretti ricorda la scissione di Italia Viva dal Pd, consumata poche ore dopo la nascita del Conte 2 con l’obiettivo di affondare i dem. «Nessuna questione personale o risentimento per il passato, ma ci sono legittimi e fondati dubbi sulla affidabilità di Iv per il futuro», mette a verbale il segretario.

LE ELEZIONI, ASSAI TEMUTE da gran parte dei gruppi parlamentari, restano sullo sfondo. «Non le abbiamo mai auspicate, ma ha fatto bene chi ha segnalato questo pericolo che è reale, indicare una buca per strada non significa volerci finire dentro». «Ma non ci chiuderemo nelle stanze a cercare un governo a qualunque costo», l’avvertimento di Zingaretti.

Andrea Orlando (con Bettini il più esplicito nell’evocare le urne) rincara: «Il voto è un pericolo che si scongiura solo costruendo alternative. Segnalarlo significa mettere in guardia: questo rischio c’è ed è cresciuto».

Al di là di qualche ex renziano, nessuno nel Pd si fa troppe illusioni sul comportamento di Renzi nei prossimi giorni. «Attendo che le forze politiche dicano con chiarezza al Capo dello Stato cosa vogliono fare, non do patenti di affidabilità», dice Orlando. La speranza dei dem è che Renzi si acconci a un «compromesso accettabile e autorevole» per un Conte ter. In caso contrario, ripartirà il pressing sugli ex compagni ora in Italia Viva, per riportarli a casa.

ZINGARETTI NON CITA neppure l’ipotesi di un governo tecnico o di larghe intese, per tenerla il più possibile lontana. Ora l’obiettivo è fare avere il reincarico a Conte: una volta ottenuto, se Renzi dovesse alzare ancora la posta, i dem minacceranno le elezioni per staccare un pezzo di Italia Viva. Per Renzi il Conte ter, dunque, è «l’ultima chiamata». «Ad un certo punto, nelle crisi di governo, il tempo dei furbi e delle ambiguità finisce per tutti al Quirinale», ricorda Francesco Boccia. «Alle consultazioni si parla la lingua della verità: dentro o fuori dalle coalizioni…». Se «Matteo» starà fuori, col Pd sarà guerra totale.