“Noi siamo pronti a tutto. Siamo pronti a sostenere il governo di servizio, e potremo essere pronti ad altro”. Guglielmo Epifani riceve quasi in diretta le notizie della riunione Pdl, dove Silvio Berlusconi avrebbe anche evocato le elezioni anticipate nel caso non arrivasse per lui una grazia dal Quirinale. Il segretario del Pd è alla festa di Castelfranco Emilia e replica secco: “Se Berlusconi avesse detto di volere il voto subito, questo vorrebbe dire che romperebbe il patto contratto con gli italiani per un governo di servizio: altro quindi che distinzione fra piano politico e giudiziario, sarebbe il piano politico che dipende da quello giudiziario”.
Intanto però i renziani attaccano. “Se il Pdl pensa di imporre ulteriori altri diktat – fa subito sapere Andrea Marcucci – sappia che nel Pd sono in tanti ormai a non voler fare più mediazioni. Il governo non può andare avanti con i consigli di guerra convocati da Berlusconi. Da oggi il Pd metta in sicurezza il partito, organizzando subito primarie libere”. Addirittura Dario Ginefra twitta: “Enrico Letta a questo punto farebbe bene a salire subito al Quirinale”. Intervengono anche i non renziani. Stefano Fassina invia un messaggio chiaro: “Se i ministri Pdl sono convinti delle loro ragioni si dimettano. Basta minacce e ricatti. Il Pd non si fa ricattare”. Mentre Matteo Orfini avverte “Napolitano e Letta fermino la pagliacciata del Pdl prima che sia troppo tardi” Mantiene invece il silenzio Renzi, che però fa sapere di aver incontrato Dario Franceschini in Palazzo Vecchio. Una visita privata, si puntualizza, per un incontro che si è svolto “per la cortesia istituzionale dovuta a un ministro”.
Sono i fuochi di artificio finali di una giornata che vedeva nella riunione dei parlamentari Pdl un ennesimo banco di prova per il governo Letta. Che da parte sua ha provato a disinnescare il fuoco amico dei renziani con il decreto legge per la cultura, che fra le altre cose dispensa otto milioni per gli Uffizi e vara un fondo di 75 milioni per salvare le fondazioni lirico-sinfoniche più disastrate, Maggio Musicale fiorentino in primis. Del resto dopo la sentenza Mediaset, in casa democrat la linea renziana era stata subito dettata dai fedelissimi Dario Nardella e Simona Bonafé: il governo deve andare avanti se fa ciò che è necessario fare per il paese. Magari il decreto Bray non sarà il sempre più urgente rifinanziamento della cassa integrazione in deroga. Ma riscuote il vivissimo apprezzamento di Marcucci: “Sulla cultura il governo fa sul serio, assicuriamo al ministro Bray massima celerità in aula, e modifiche concordate per integrare e migliorare la legge”.
Comunque in casa Pd se non è guerra dichiarata poco ci manca. In mattinata Pierluigi Bersani aveva tirato le somme di quanto accaduto in Cassazione, e aveva chiesto al suo partito di analizzare la nuova situazione: “Il Pd deve parlare con una voce sola davanti a un passaggio che è di grande rilievo”. Poi l’affondo: “Bisogna riflettere sulla fase che si apre. Io suggerirei che nel Pd si smetta di parlare di regole, e invece di occuparci della nuova situazione. E di fare una discussione seria, dove il presidente Letta venga a dirci la sua e che il Pd prenda una posizione unica e parli con una voce sola”. Bersani ne aveva anche per il Pdl (“Vorrei che si chiedesse al Pdl se intende essere guidato da chi è stato condannato per evasione fiscale”), ma era tornato subito a parlare delle faccende di casa: “Abbiamo davanti mesi in cui il rischio di farci fare la finanziaria dalla troika non è allontanato del tutto. Quindi c’è una discussione da fare”. Infine un’altra stilettata: “C’era un nobile partito il cui tema congressuale era sempre se cadrà il governo e se ci sarà il rimpasto. Almeno in questo non vorrei essere democristiano”.
A stretto giro di posta la replica di Salvatore Vassallo: “Sono totalmente condivisibili le affermazioni di Bersani: basta parlare di regole, si convochi subito il congresso”. Anche senza passare per l’assemblea di settembre, chiede il costituzionalista. Mentre Goffredo Bettini, intervistato dall’Espresso.it, dichiara che il governo deve chiudere i provvedimenti anti crisi urgenti e poi si deve andare al voto. Unica consolazione per il governo Letta, il report del Financial Times che dà la parola agli analisti finanziari e ai broker che non vedono crisi di governo all’orizzonte. Intanto Piazza Affari chiude in negativo dello 0,24% e lo spread cala a 260 punti.