Il sì del Pd al «rafforzamento» dell’aiuto italiano alla Guardia costiera libica non c’è più. Il Pd non parteciperà al voto. La decisione arriverà stamattina in una nuova riunione dei deputati dem convocata alle 9 e 30. Non siamo al ribaltamento né alla sconfessione della linea sui migranti del ‘duro’ ex ministro Minniti. Eppure sul delicato tema – core business della propaganda di Matteo Salvini – per la seconda volta il Pd cambia strada. E invece per la prima volta ieri nel gruppo dem della camera la maggioranza congressuale, insomma quella del nuovo segretario Zingaretti, si presenta in ordine sparso e sbanda.

L’ASSEMBLEA DEI DEPUTATI era convocata in mattinata, alla vigilia del voto in aula delle risoluzioni (oggi alle 11). Ma la discussione è tardiva: la posizione Pd è già stata espressa in commissione da Lia Quartapelle, il 6 giugno: sì senza condizioni all’aiuto alla Guardia costiera, del resto dotata di corvette che proprio il governo Pd (Gentiloni premier, Minniti ministro dell’interno) per primo ha regalato alla Libia. Nonostante ormai sia chiaro – ma lo è sempre stato – che la marina libica non garantisca il rispetto dei diritti umani dei naufraghi, che vengono riacchiappati dalla fuga e rispediti nei campi di detenzione e tortura. A capeggiare il dissenso è Matteo Orfini, da sempre contrario alla linea Minniti e all’opposizione di Zingaretti. In sei hanno firmato la mozione di Leu chiede di stracciare gli accordi con la Libia.

ALLA SALA BERLINGUER della camera Zingaretti non c’è. Lui si occupa di cose più di sostanza, spiegano i suoi, «mentre il governo fa una nuova manovra economica e la maggioranza si spappola, i deputati si dividono su una cosa già votata». Non c’è neanche l’ex ministro Minniti, «per evitare la personalizzazione del confronto» dirà poi a chi glielo chiede, non c’è il suo convinto sostenitore Paolo Gentiloni. I due vicesegretari Pd Orlando e De Micheli ci sono, ma non parlano. A SOSTENERE LA LINEA PD, che è appunto la linea Minniti degli accordi con la Guardia costiera libica, nonostante tutto quello che ormai è stato accertato sulla sua condotta, è il responsabile esteri Enzo Amendola, vicino al presidente Napolitano: «L’ingerenza umanitaria in Libia è una scelta politica di sinistra, non stracciare gli accordi e andar via», dice introducendo il confronto. Ma l’ingerenza umanitaria, concetto tirato alla bisogna nei decenni scorsi fino a giustificare le missioni militari più devastanti, stavolta non c’entra con l’aiuto alle dubbie motocorvette di Tripoli. Orfini attacca: «Rispetto al passato è evidente che lo scoppio di una guerra in Libia cambia le condizioni e deve cambiare le nostre scelte, affidare alla guardia costiera libica la gestione dei flussi significa relegare la gente nei lager. Non possiamo contestare Salvini e poi sulla Libia votare come il governo». E poi c’è una cosa che a Orfini non va giù: l’assenza di Minniti e Gentiloni. «È incredibile e inaccettabile che si sottraggano ancora alla discussione».

Quartapelle si schiera con Amendola – è lei ad aver scritto la risoluzione del Pd – ma resta sola. L’unico a darle man forte è Piero Fassino. Gli interventi a raffica fanno capire che non è aria di forzature. Problematici i renziani (Ascani, Romano), contrario l’ex Sel Migliore con la schiera dei Giovani turchi (Rizzo Nervo, Raciti, Pini) e la sinistra (Pollastrini, Cenni). Alla fine è Dario Franceschini a dare una mano agli uomini, e alle donne, del segretario, proponendo di uscire dall’aula (come già sul voto sulle corvette, lo scorso agosto). Il «lodo Franceschini» è l’unica maniera per non dividere i deputati. Una scelta che poteva essere fatta prima, se il segretario non avesse sottovalutato la questione, o forse se non avesse appaltato la linea sui migranti a Minniti e Gentiloni, massimi rappresentanti di un governo alla fine del quale il Pd si è ritrovato giù fino al 18 per cento.

NON CHE NEL PD le cose siano cambiate per tutti. Gli ex renziani di Lorenzo Guerini, Base riformista, sono d’accordo con Minniti, che volevano persino come segretario, ma stavolta capiscono che bisogna cambiare: «Possiamo e dobbiamo lavorare per trovare una posizione condivisa», dice Guerini. Il mandato a rimettere insieme i cocci viene consegnato al capogruppo Delrio. Che è uno dei parlamentari saliti sulla Sea Watch (con Orfini del Pd, Fratoianni di Sel e Magi di +Europa): «Siamo d’accordo sul 99,9 per cento, sulla politica estera, tutti siamo convinti che non bisogna scappare dalla Libia. Qualcuno vorrebbe più garanzie di legalità e di non trasformazione dei mezzi della Guardia costiera libica in mezzi militari. Un comportamento unitario in aula si può trovare», giura. Dopo la riunione Minniti viene avvistato in Transatlantico, abbastanza contrariato. Se seguisse la sua linea di fatto oggi in aula il Pd sarebbe indistinguibile dalle politiche del governo sulla Libia.