«Ora dobbiamo sconfiggere il virus, aiutare le imprese e sostenere il lavoro», «Questo deve farlo un governo che la maggioranza ce l’ha», «mi auguro che ci sia concordia». Al Tg1della sera Nicola Zingaretti certifica che il suo partito non crede alle minacce di Renzi, pur non sottovalutando il logorìò a cui il senatore fiorentino sottopone quotidianamente il presidente Conte.

«È solo l’ennesimo penultimatum», spiega chi ne ha parlato con il segretario dem. Un «penultimatum» non è una cosa seria. Anche se la scelta del termine è meno rassicurante di come vorrebbe suonare. A sinistra è la parola che si usò alla fine degli anni 90 per definire il pressing di Fausto Bertinotti sul primo governo Prodi, e dieci anni dopo per quello di Clemente Mastella sul secondo governo Prodi. Entrambi gli esecutivi alla fine caddero.
Ma questa sarebbe un’altra storia, almeno per ora. Tanto più che la possibile «rottura» della maggioranza viene smentita da Maria Elena Boschi, capogruppo di Italia via alla camera («assolutamente no»). E si sa che altre due donne si metterebbero di traverso sulla strada di un’apertura di crisi, nonostante la certezza di non andare al voto: Teresa Bellanova e Elena Bonetti, le due ministre renziane date poco propense alle dimissioni.

Zingaretti dunque, nonostante i malumori nei gruppi dem, non crede alla crisi e alla crisi non offre alcuno spazio. E anzi prende atto con soddisfazione che Conte «ascolta» il Pd, come era già successo con il Mes. Ieri nell’informativa alle camere il premier ha ripetuto quasi parola per parola quello che il Pd aveva chiesto i a proposito delle ripartenze: «Nei prossimi giorni su base territoriale sarà possibile prevedere la differenziazione geografica dell’allentamento delle misure. Però questo dovrà essere caratterizzato da precisi presupposti scientifici. Non un piano derivante da singole azioni improvvide degli enti territoriali», ha detto Conte. Un segnale «ottimo» per Zingaretti.

Finita la fase 1 dell’emergenza, durante la quale lo stesso segretario è stato duramente provato dal virus, ora il Pd prova a far sentire la sua trazione, non andare al ricasco di Palazzo Chigi e correggerne gli errori – e i Dpcm – dovuti alla tentazione accentratrice di Conte. Evitando però le polemiche. Avanzando solo proposte di merito. Valorizzando i passi avanti: «Il fatto che il decreto aprile slitti dimostra quanto sia falsa la teoria che si proceda senza ascoltare gli attori sociali e politici», dice Zingaretti a Radio1. Incassate le aperture sulla base delle curve epidemiologiche, ora il Pd batte sul tasto delle banche: «Non stanno svolgendo la funzione che gli ha assegnato il decreto», dice Andrea Orlando alla camera.

Ma sempre blindando Conte, da unica forza stabilmente responsabile, che smonta le fantasie ribaltoniste aizzate da Renzi, con tanto di ammiccamenti delle destre: «Noi presidente la sosterremo con le nostre idee e con responsabilità, responsabilità che non deriva dal fatto che siamo in maggioranza ma dal ruolo che abbiamo», certi che «in questo momento le polemiche e le ipotesi di manovre» contro il governo «non servono e finiscono per disorientare un popolo già disorientato». A questo punto è Orlando che avvisa Renzi e la compagnia di ribaltonisti immaginari: «Sappiamo, proprio perché non ci sono i soldi del Monopoli, che la credibilità è fondamentale, perché lo spread è una tassa sulle stupidaggini e gli slogan, e il prezzo lo dovremo pagare, guai ad autocensurarci su cose fondamentali ma guai se non sappiamo misurare le parole», «ci sarà un’onda di malessere enorme, si può cavalcarlo o dare una risposta politica, noi vogliamo percorrere questa seconda strada».