Quattro giorni dopo le dimissioni choc di Nicola Zingaretti, il Pd brancola ancora nel buio. I tentativi di convincerlo a fare marcia indietro sono ancora in corso, sempre più flebili. L’assemblea nazionale resta convocata per il 13 e 14 marzo, ma non c’è l’ombra di un accordo su quale strada prendere.

Ogni corrente si muove per conto proprio, cerca di salvare il salvabile. E tuttavia emergono tre linee diverse: l’ala sinistra, quella di Andrea Orlando e Giuseppe Provenzano (con il sostegno di Goffredo Bettini) spinge perché l’assemblea nomini subito un segretario vero. «Sulla piattaforma con cui Zingaretti ha vinto le primarie nel 2019», spiega Provenzano. Una virata a sinistra, dunque, senza troppo preoccuparsi delle minoranze ex renziane.

Dario Franceschini (altro partner della maggioranza zingarettiana che nel complesso ha circa l’80% dei delegati) spinge per non rompere con il gruppo di Guerini, per cercare una soluzione condivisa, un segretario/a traghettatore che porti il Pd a congresso a fine anno.

NEL MEZZO CI STANNO gli zingarettiani doc (in gran parti membri della segreteria uscente), che non escludono un congresso subito, anche con la pandemia, da tenersi on line, sia nella prima parte riservata agli iscritti sia per le primarie. Un congresso lampo, che potrebbe vedere la ridiscesa in campo di Zingaretti. «Se Nicola non tornasse sui suoi passi sarebbe difficile trovare una soluzione alternativa, ci dovrebbe essere un congresso», dice Nicola Oddati.

Stefano Vaccari, già responsabile dell’organizzazione, spiega che «l’assemblea dovrà affrontare i temi posti da Zingaretti, non si può annacquare la sua scelta dentro un finto unanimismo che non ci serve a nulla». Serve invece chiarezza rispetto al profilo del Pd, sulle alleanze che servono per battere la destra. I richiami all’unità in questa fase non ci servono». Prosegue Vaccari: «L’assemblea può fare una scelta chiara eleggendo un segretario in grado di cogliere nel merito le ragioni poste da Zingaretti, altrimenti, la presidente potrebbe avviare un percorso congressuale».

SAREBBE LA SOLUZIONE PERFETTA per colpire gli ex renziani, che hanno lavorato per logorare Zingaretti, ma ancora non sono pronti per un congresso, come ha fatto capire Stefano Bonaccini, il candidato che vorrebbero lanciare ma che non ne vuole sapere di «un partito che parla di se stesso in piena pandemia».

La linea dell’elezione immediata di un segretario non condiviso con gli ex renziani potrebbe non avere i numeri: se Franceschini facesse mancare i suoi voti, la sinistra interna rischierebbe di non farcela su un nome come Orlando o Provenzano.

OGGI SI RIUNISCE L’ESECUTIVO provvisorio guidato dalla presidente dem Valentina Cuppi, reggente fino alla nomina di un nuovo segretario. Con lei una squadra che comprende Oddati, Vaccari, le due vicepresidenti Ascani e Serracchiani, Cecilia D’Elia, il tesoriere Walter Verini. A loro il compito di preparare l’assemblea.

Zingaretti si mostra ottimista: «Ho fiducia che ci sarà la forza e l’autorevolezza per fare chiarezza dove io non sono riuscito e a rilanciare insieme un progetto per l’Italia».
Nel partito però, anche nelle federazioni locali, prevale lo scoramento per l’addio repentino. E anche un pizzico di rabbia: «Non si può lasciare in questo modo, senza preparare una successione ordinata, così è il caos».

TRA I BIG C’È LA CONSAPEVOLEZZA che il passaggio è strettissimo, che il Pd stavolta si gioca l’osso del collo. Per questo è in corso un pressing su una figura di alto profilo come Enrico Letta, da anni docente a Sciences Po a Parigi. Di fronte ai rumors, ha smentito: «Faccio un altro mestiere».

E tuttavia chi gli ha parlato lo descrive «molto preoccupato» per la situazione del Pd e, di conseguenza, sull’Italia che rischia di smarrire un baricentro politico e un interlocutore di peso a Bruxelles e nelle cancellerie europee. Lo stesso Draghi viene descritto preoccupato per lo stallo dem e certamente sollevato se Letta prendesse le redini del partito. Per questo c’è chi spera che, di fronte a una chiamata corale e d’emergenza come “salvatore della ditta”, Letta potrebbe pensarci. Ma di qui a sabato il tempo stringe.