No, non è successo nulla, solo uno stop ai lavori d’aula, poche ore. Però sì, è gravissimo, il Pdl ricatta il governo. Il giorno dopo il sì allo stop parlamentare chiesto dal Pdl per ritorsione contro i giudici che hanno anticipato l’udienza del Cav sui diritti tv, il Pd è come un campo di battaglia il giorno dopo la sconfitta: crociati moribondi che da terra ancora si inveiscono contro. Scagliandosi lettere minatorie. La figuraccia è grande, Renzi se n’è prontamente dissociato, Epifani ripara dicendo tutto e il contrario: «Stop ai lavori? Ma oggi l’aula lavora». Quindi non è successo nulla? «La richiesta era gravissima, ma abbiamo vinto: volevano tre giorni, è stato uno». Per il Pd in attacco di panico da crisi di governo non è successo nulla. Eppure quel nulla è gravissimo.

Quel «nulla», vallo a spiegare agli elettori, al popolo della rete, ai lettori di giornali, alle famiglie davanti alle tv, è che il Pd ha piegato la testa di fronte all’ennesimo ricatto delle vicende giudiziarie del leader del Pdl.

E ora i democratici, per lo più pentiti – ma non tutti -, si scagliano lettere dai toni minatori. In 13 firmano una missiva contro il giovane turco Matteo Orfini, reo di aver insultato i renziani che hanno sceneggiato la contrarietà al voto, e invece avrebbero potuto chiedere prima una riunione di gruppo. Cinque giovani turchi difendono Orfini e pretendono un chiarimento «sul nostro modo di stare insieme, nello stesso gruppo parlamentare e nello stesso partito». 70 senatori, su proposta del lettiano Russo tuonano un indecifrabile «Basta autogol»: il testo in realtà difende Letta e i suoi meriti, ma è così imbarazzato e involuto che sembra al contrario un attacco alla troika della camera (Speranza, Franceschini, Epifani) che ha condotto la trattativa con il Pdl.
Insomma, il Pd è tutto una maceria. E con la pessima prospettiva di restare in queste condizioni per altri venti lunghissimi giorni: in balìa delle risse fra le correnti, delle opposte recriminazioni. Disarmato campo di conquista di Renzi, che da Firenze bombarda il quartier generale in confusione. Tutto questo fino al 30 luglio, giorno dell’udienza in cui potrebbe essere condannato in via definitiva Berlusconi.

Sarà il giorno del giudizio sul Cavaliere? Ma anche il giorno del giudizio universale sul governo Letta. E sul Pd. A nessuno sfugge l’attacco dei renziani subito dopo il voto. Il sindaco, annusata aria di crisi, ingrana la marcia per candidarsi non a segretario, cosa che ha notoriamente poca voglia di fare, ma a premier. Per questo Alfredo D’Attorre, giovane mente dell’area bersaniana, chiede un «chiarimento» fra deputati: «Non possiamo andare avanti così, con qualcuno che per posizionarsi al congresso fa apparire l’altro come un amico di Berlusconi». Amici di Berlusconi mai: «Anzi: se Berlusconi fosse condannato, e se il Pdl si smarcasse dalle vicende giudiziarie del suo leader, faremmo bene ad andare avanti: avremmo dimostrato che il governo delle larghe intese non è nato per garantire l’impunità a Berlusconi. E poi avremmo finalmente il campo libero per portare avanti l’azione dei governo».

Fine argomentazione politica, ma la «base» non ci sta. Siti e sociali network sono invasi di domande: «Ma quando smettete di governare con loro?». Tradotto, ma non ce n’è bisogno: non sarà un suicidio per il Pd continuare a governare con un partito il cui fondatore è condannato in via definitiva? «È un problema filosofico», tituba D’Attorre. Che però forse il Pd non avrà tempo di affrontare. Renzi brucia le tappe e si prepara all’assalto di Palazzo Chigi. Ma la novità è un’altra: nella trincea del Nazareno, c’è chi comincia a ragionarci su: il voto anticipato spedirebbe Renzi a Palazzo Chigi. Lontano dal partito, che a questo punto sarebbe libero di scegliersi un segretario «partitista». Gianni Cuperlo, per esempio. Non è un mistero che questo è lo schema a cui D’Alema lavora da mesi. Ieri mattina Epifani ha avuto un lungo colloquio con Nichi Vendola, su un divanetto di Montecitorio. Oggetto: il ‘dopo’ Letta. Meno lontano.

Ma tutto questo a patto che resti un partito da governare e da condurre in una coalizione. In queste ore la baracca democratica trema. «Il Pd non è uno spazio politico in cui ognuno corre la sua cavallina», tuona l’ex segretario Bersani da Bologna, che con Epifani gestisce anche la nuova fase. Quindi ora «cessino le discussioni molto interne e correntizi. Io sono moderatamente bersaniano, mi vanno bene tutti ma devono stare dentro ad una logica e riconoscersi dentro al Pd, non mettersi davanti alla missione del Pd». E in fondo cos’è successo martedì? «Abbiamo dato mezza giornata perché in grande gruppo politico facesse un’assemblea. È successo molte volte». Ma lo spettacolo delle divisioni del Pd è un regalo insperato per il Pdl. Un tana libera tutti che ricorda la vicenda dei 101 voti senza volto contro Prodi. Stavolta solo in 20 si sono smarcati dal voto, ma dopo è scoppiato il caos. «Caos? Ma no», fa Epifani, da sindacalista consumato: «Abbiamo ottenuto la riduzione dei giorni di sospensione dei lavori da tre a uno. Abbiamo vinto noi»