«Sono mesi che chiediamo che si affrontino i troppi, troppi dossier aperti. Avevamo detto: Autostrade, Alitalia, ex Ilva, Mes, decreti sicurezza. Ora purtroppo si capisce quello che Zingaretti dice da tempo: il caso Autostrade è esploso. E fra due settimane esploderà il caso Ilva. Perché se i problemi non si affrontano, i problemi esplodono». Dall’entourage di Nicola Zingaretti sulla vicenda della gestione del nuovo Ponte Morandi affidato «temporaneamente» al vecchio gestore, quello vituperato eppure mantenuto al suo posto, filtrano le parole «amarezza» e «irritazione». La frustrazione di una cassandra, per aver segnalato per tempo – inascoltato – le nuvole nere all’orizzonte dell’esecutivo. La constatazione che nel frattempo «non si è chiuso niente», «sono responsabilità del governo, decida il governo. Ma decida». A dirlo dal palco della festa di Repubblica è Romano Prodi: la difficoltà principale del governo «è la lentezza delle decisioni, il rinvio ha preso la parte troppo forte in un momento in cui c’è bisogno della decisione rapida», «adesso il problema è reagire rapidamente».

ADESSO IL PREMIER CONTE definisce la vicenda «assurda» e promette la soluzione in settimana. Ma è già tardi. Gli attacchi di Salvini sono pesanti ma poco credibili: «Cosa non si fa per salvare la poltrona. 5 Stelle ridicoli e bugiardi, due anni di menzogne e tempo perso». Ma c’è poco da twittare: sui ritardi c’è anche la firma del governo gialloverde, il primo governo Conte. La sentenza della Consulta arrivata provvidenzialmente ieri sera, secondo cui non è illegittimo estromettere l’Aspi dalla ricostruzione, dà un po’ di coraggio all’esecutivo. Ma la vicenda investe come un ciclone la maggioranza. Ora anche i grillini, quelli che hanno tuonato contro i Benetton e promesso la rescissione dei contratti ‘a prescindere’ dallo studio del complicato dossier, giurano di aver incalzato Conte e di non essere stati ascoltati.

CHE SIA VERO O NO, resta comunque un caso di scuola dei meccanismi «indecisionali» dell’esecutivo. Giù fino agli errori di comunicazione: al Nazareno nessuno fa il nome della ministra delle infrastrutture Paola De Micheli, ma è chiaro che nella notizia «bomba» rimbalzata da una lettera che la ministra stessa ha inviato al sindaco di Genova Bucci, nella sua veste di commissario straordinario, è un incredibile autogol. Un regalone alle destre, a Giovanni Toti in piena campagna per le regionali. Il presidente uscente attacca via social lo «squallido balletto» che «ha inchiodato i liguri in code interminabili in piena stagione estiva».

GLI RISPONDE FERRUCCIO SANSA, il giornalista candidato in pectore (fino a qualche settimana fa) dell’alleanza giallorossa ligure, con una dettagliata ricostruzione dal suo blog «Liguritutti». Ripercorre le responsabilità di tutti gli attori in campo, poi si concentra su Toti: «In un’ordinanza dei giorni scorsi la Regione Liguria ordinava ad Autostrade di predisporre un piano di interventi e di comunicarlo all’amministrazione. Bene. Però c’è un passaggio che colpisce: “Si adotta la presente ordinanza – scrive la Regione Liguria – in qualità di autorità competente in materia di sanità pubblica, nonché nell’esercizio della funzione di coordinamento della rete viaria”», «Somiglia tanto a un’ammissione. Dove era dunque la Regione in questi cinque anni? ».
Certo è che la vicenda si abbatte come un nuovo cataclisma doloroso sulla città, sulla rabbia dei parenti delle vittime. E, neanche a dirlo, sul tentativo di un riscatto civico di centrosinistra alle prossime regionali. Da oltre un mese la coalizione gira a vuoto. Nell’ultima riunione, quella andata a vuoto per l’ennesima volta lunedì sera, la discussione si era arenata su due nomi: Sansa, appunto, sostenuto dai 5s e da una parte del Pd, e Aristide Massardo, uno che gioca in proprio ma di cui si è improvvisamente innamorato Renzi. Insieme alla parte dem ancora vicina all’ex ministro Burlando che vede come un pericolo la promessa innovatrice del giornalista.

VENERDÌ SI RIUNIRÀ LA DIREZIONE del Pd ligure, che ora chiede al governo «un segnale politico ai genovesi e ai liguri», ovvero «inserire il ponte e le attività di interconnessione con la rete autostradale in una nuova struttura commissariale, che avrà in carico anche la realizzazione della Gronda, chiudendo la fase della ricostruzione e impegnandosi immediatamente nella fase del rilancio». Quella Gronda, vecchio macigno fra 5s e Pd. La riunione di domani giocoforza non troverà un candidato unitario. La palla ripasserà alle segreterie romane.

Ma forse a questo punto, come già scrivono i giornali locali, è l’alleanza giallorossa ad essere in dubbio. La Liguria doveva essere il laboratorio locale ma prestigioso del fidanzamento delle forze politiche già promesse spose a Roma. Lo aveva chiesto Conte in persona. Le forze politiche liguri non hanno voluto fare la loro parte. Ma, ora è chiaro, anche Conte non ha fatto la sua.